2015-07-02 08:04:00

Egitto: offensiva jihadista. Almeno 100 terroristi uccisi


È di almeno 100 terroristi e 17 soldati uccisi il bilancio dei violenti combattimenti avvenuti ieri nel nord del Sinai, dove i jihadisti hanno attaccato simultaneamente diverse postazioni dell'esercito egiziano. Nella stessa giornata il governo del Cairo ha approvato un nuovo pacchetto di misure per la lotta al terrorismo e i Fratelli Musulmani hanno chiamato alla rivolta. Il servizio di Marco Guerra:

E’ stata una vera e propria giornata di guerra quella di ieri nel Sinai. Le forze armate egiziane, per fermare i jihadisti affiliati all'Isis, hanno eseguito bombardamenti con jet F-16 ed elicotteri Apache. A rivendicare la raffica di attacchi è stato un gruppo affiliato allo Stato islamico – autoproclamatosi  'Provincia del Sinai' - che ha annunciato di aver preso di mira 15 postazioni dell'esercito e di aver eseguito tre attentati kamikaze. L’offensiva è arrivata mentre al Cairo il premier Mahlab annunciava l’approvazione di nuove misure anti terrorismo e due giorni dopo l'assassinio Hisham Barakat, magistrato di punta nella repressione dell'estremismo islamista avviata dal presidente Al Sisi. Sempre ieri i Fratelli Musulmani hanno fatto un appello alla rivolta denunciando l’uccisione di loro nove membri durante un’operazione di polizia nella capitale. Sentiamo il commento Massimo Campanini, docente di Storia dei Paesi islamici all’Università di Trento, intervistato da Eugenio Murrali:

R. – L’Egitto sta attraversando una fase di ristrutturazione: il fatto è che il colpo di Stato contro Morsi e i Fratelli musulmani del 3 luglio 2013, in realtà, è stato un elemento di destabilizzazione, perché i Fratelli musulmani erano andati al potere regolarmente, attraverso un processo elettorale democratico. La repressione di cui sono stati oggetto evidentemente li ha radicalizzati e ha radicalizzato tutte quelle correnti interne che possono essere contestatrici del regime di al-Sisi. Quindi è evidente che questo elemento di debolezza è alla base, parallelamente, di una debolezza e dell'incapacità di far fronte alle sfide che vengono dall’esterno: siano esse le sfide jihadiste dell’Is, che potenzialmente minacciano tutto il Nord Africa, siano esse le sfide dei gruppi armati, che nel Sinai trovano rifugio e protezione.

D. – Che tattica sta seguendo il sedicente Stato Islamico?

R. – E’ evidentemente una strategia tesa a destabilizzare tutto il Nord Africa, così si giustificano gli attentati contro la Tunisia e gli attentati contro l’Egitto: queste forze terroristiche devono innanzitutto consolidarsi e radicarsi nei territori musulmani.

D. – Il Presidente al-Sisi ha una strategia di difesa?

R. – Dal punto di vista propagandistico, presentandosi come l’erede di Nasser, mira a tre obiettivi: innanzitutto il consolidamento e l’irrobustimento del nazionalismo interno. In secondo luogo, la proiezione internazionalistica di un Egitto particolarmente forte, che vuole ritrovare il suo ruolo nel mondo arabo e in genere in Medio Oriente. Iin terzo luogo, la gestione di una politica laica e quindi una gestione del potere che fa a meno dell’islam e che arriva addirittura al punto di reprimerlo. E’ verosimile che questa strategia di difesa e di rafforzamento del suo regime, che al-Sisi persegue, possa essere in realtà fallimentare.

D. – Che ruolo stanno giocando in tutto questo i Fratelli musulmani?

R. – Dal punto di vista ufficiale i Fratelli musulmani, oggi come oggi, in Egitto non ci sono più. Quindi è evidente che i Fratelli musulmani, che si sentono ancora tali, o si mimetizzano o vanno all’estero o vanno in occultamento e potenzialmente possono essere delle mine vaganti che scelgono la lotta armata. Io non so se dietro a questi attentati ci sia la mano di gruppi dei Fratelli musulmani che sono entrati in clandestinità … L’ipotesi è possibile: non dico probabile, ma possibile. Però, a quanto mi risulta, al momento attuale i Fratelli musulmani sono piuttosto allo sbando in Egitto.

D. – Qual è la percezione della popolazione?

R. – La maggior parte della popolazione egiziana è assolutamente passiva, nel senso che c’è stato un allontanamento dal processo rivoluzionario. Purtroppo la rivoluzione è sempre un processo violento e la popolazione, a un certo punto, ha deciso di scaricare – se posso dire così – la rivoluzione, accettando quindi il ritorno dei militari.

 

 

 








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