2015-07-06 07:30:00

Crisi in Burundi. Al via la conferenza dell'Eac


Ancora molto difficile la situazione in Burundi a una settimana dalle elezioni amministrative e parlamentari, la cui validità è stata messa in dubbio da più parti, soprattutto dalle Nazioni Unite. Intanto, c’è attesa per il summit della Comunità dell’Africa Orientale che si apre oggi in Tanzania, per cercare una soluzione alla crisi politica in cui è caduto il Paese dopo la decisione del presidente uscente, Nkurunziza, di presentarsi, per la terza volta, alle prossime presidenziali del 15 luglio, nonostante la Costituzione lo vieti. Elvira Ragosta ha intervistato padre Claudio Marano, missionario saveriano da circa 30 anni in Burundi che in questi giorni si trova in Italia:

R. – La situazione è molto grave: c’è una paura continua un po’ dappertutto – soprattutto in città – perché all’interno del Paese la gente vive sulle colline e ha dei momenti di incontro, come possono essere quelli al mercato oppure durante la preghiera. In città ci sono dei quartieri che stanno diventando etnicamente chiusi, l’opposizione sta facendo manifestare solo in alcuni quartieri, mentre negli altri non ci riesce, dato che sono in mano alle milizie del partito che governa. La scuola, l’università, i posti di lavoro e i magazzini sono chiusi. Qualche volta – il sabato e la domenica – viene data libertà a tutti perché possano andare a rifornirsi. Di notte e di giorno si spara perché qualcuno ha violato la strada che conduce a un quartiere o ad un altro quartiere.

D. - Questi scontri nei quartieri hanno una base politica, più che etnica?

R. – Per adesso è ancora politica. Tutti hanno paura di questo: è molto probabile che la situazione piano piano si evolva in una guerra civile e di nuovo etnica.

D. – Lunedì inizia questo nuovo vertice della Comunità dell’Africa Orientale sulla crisi in Burundi. Che prospettive ci sono per una soluzione?

R. – Secondo diversi osservatori, le prospettive sono pari a zero, perché il presidente non vuole assolutamente trovare una soluzione. Nei tre-quattro mesi di tira e molla attuali sono più di 80 i morti, più di 500 i feriti, più di 1000 i prigionieri e più di 140.000 le persone che sono già scappate in Tanzania, in Rwanda e in Congo. Ci sono quindi delle cifre che parlano da sole e il presidente non vuole cedere perché dice: “Voi non potete venire a casa nostra e imporre delle leggi”; questo lo ripete all’Onu, all’Unione Africana... Ma gli Stati che si trovano accanto al Burundi sono nella stessa situazione: tra poco ci saranno le elezioni in Rwanda, il presidente Kagame vuole il terzo mandato e la Costituzione del Paese non lo permette. Il presidente del Congo l’anno prossimo avrà le elezioni e si trova anche lui nella medesima situazione; in Uganda la stessa storia. Quindi, consigliare al Burundi di fare marcia indietro è molto difficile, anche perché gli altri Paesi si trovano nella stessa situazione.

D. – Poi il 15 luglio ci saranno le tanto contestate presidenziali: è possibile che le violenze, la forte instabilità politica di un Paese che è già provato dagli alti tassi di malnutrizione infantile e povertà, debbano scoppiare per il prolungamento di un mandato?

R. – Se tutti fossero d’accordo nel ragionare, questo non sarebbe possibile; ma tutti sono convinti del fatto che il presidente non cederà e non lascerà nessuno al suo posto. Ed è per quello che si dice che, se l’Onu e l’Unione Africana non interverranno in maniera diversa, ci sarà una guerra civile. E tutti sono convinti che questa guerra non sarà come quella dei tredici anni dove ci sono stati 300.000 morti, ma sarà molto più difficile.








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