2015-07-06 07:03:00

Francia. Chiesa su utero in affitto: figli non oggetti da comprare


“Un figlio è qualcosa che si acquista o una persona che si accoglie?”: parte da questo interrogativo la riflessione di padre Bruno Saintôt, responsabile del Dipartimento di bioetica del Centro Sèvres, l’Istituto superiore di formazione gestito dai gesuiti in Francia. In particolare, il sacerdote fa riferimento alla recente sentenza della Corte di Cassazione francese che ha autorizzato l'iscrizione all‘anagrafe di bambini nati all'estero da madre surrogata, cioè con il cosiddetto "utero in affitto". “Il desiderio di un figlio è legittimo – afferma padre Saintôt – ma deve essere inquadrato nella concezione del bene del bambino”. Un figlio ha “un valore assoluto”, ribadisce il sacerdote, e quindi “la sua generazione e gestazione devono essere in accordo con il suo valore incondizionato e con i legami umani fondamentali della sua esistenza, ovvero i legami parentali”.

Concepire un figlio non è un diritto, ma una possibilità
Di qui, la critica che il gesuita muove a “tutto ciò che attenta alla gestazione, portando alla sua strumentalizzazione” ed alla creazione di “un mercato” in cui “il figlio viene considerato sempre più un qualcosa da acquistare e non come una persona da accogliere in maniera incondizionata”. “Concepire un figlio non né un diritto; è una possibilità per alcuni” sottolinea padre Saintôt. Al contrario, la pratica dell’utero in affitto trasforma il figlio “nell’oggetto di una transazione economica e di un contratto, in una sorta di ordine d’acquisto”. Non solo: pratiche simili rischiano di aprire ad ulteriori derive etiche: ad esempio, spiega il sacerdote, “cosa ne sarà dei bambini disabili?”. Se, infatti, il figlio diventa oggetto di un contratto, allora si moltiplicheranno “le tecniche di diagnostica pre-impianto” per ottenere prodotti “conformi alla domanda” di acquisto.

Considerare la maternità in modo integrale
Quindi, il gesuita francese ricorda “la generazione e la gestazione fanno parte della storia di un figlio e non possono essere considerate come una parentesi, perché rivelano qualcosa sul valore che si dà al bambino ed alla sua dignità”. Per questo, “la Chiesa si oppone ad ogni forma di paternità e maternità disgregate in funzioni differenti: la madre genetica da una parte, la madre gestante dall’altra, e così via”. Al contrario, “unire tutte queste funzioni significa concepire la persona in modo integrale, senza disgregarne la dimensione fisica, psichica e spirituale”.

La donna non sia alienata e strumentalizzata dalle leggi di mercato
​Infine, padre Saintôt lancia un appello per la tutela della donna, affinché non si verifichino la sua “alienazione” e la sua “strumentalizzazione”, dovute alla riduzione della persona a mero “oggetto di produzione”. “La donna non sia sottoposta alle leggi di mercato”, conclude il gesuita, ricordando che “non è possibile che la pratica dell’utero in affitto sia considerata una pratica etica”. (I.P.) 








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