2015-07-06 14:12:00

Vertice dell'Africa Orientale sulla crisi in Burundi


La crisi politica in Burundi è al centro del summit della Comunità dell’Africa Orientale che si apre oggi in Tanzania. Nel Paese, intanto, continuano le violenze dopo la decisione del capo di Stato uscente, Nkurunziza, di presentarsi, in violazione della Costituzione, per la terza volta, alle presidenziali del 15 luglio, mentre un generale dell’esercito in esilio ha promesso che il presidente Nkurunziza sarà cacciato con la forza. Ma cosa dobbiamo aspettarci dal vertice dei Paesi della regione? Marco Guerra lo ha chiesto Raffaello Zordan, della rivista comboniana Nigrizia:

R. – La ragione fondamentale del vertice è che questi presidenti devono capire se le elezioni presidenziali previste per il 15 luglio in Burundi si possano svolgere in maniera minimamente lineare oppure no. Sappiamo, però, che possiamo rispondere già adesso a questa domanda: “No”. Del resto, anche la missione elettorale delle Nazioni Unite, che ha già monitorato le legislative e le comunali che si sono svolte il 29 giugno, ha detto che si sono svolte in un ambiente che non è propizio a uno scrutinio libero, credibile e che tenga insieme il Paese. Credo che i presidenti faranno il gioco delle parti. A questo punto, cioè, dobbiamo tenere conto che alcuni di loro, come Museveni, il presidente dell’Uganda, e Paul Kagame, il presidente del Rwanda, che fanno parte dei Paesi dell’Africa dell’Est, hanno lo stesso problema di Nkurunziza, cioè vogliono presentarsi per un terzo mandato, anche se la Costituzione dei loro Paesi non lo prevede. Quindi, faranno il gioco di Nkurunziza, perché è il loro stesso gioco. A questo aggiungiamo il fatto che il partito al potere in Burundi – che si chiama Consiglio nazionale per la difesa della democrazia – ha chiesto le dimissioni dell’inviato noto, perché dice che quando si è presentato non ha osservato il cerimoniale, e quindi non si è presentato al presidente Nkurunziza e al suo partito, ma ha dialogato con i diplomatici e con le opposizioni. Di fronte a questo scenario, le elezioni si faranno in un clima di tensione e Nkurunziza verrà eletto per la terza volta, anche se la Costituzione – che lui stesso ha votato – non lo prevede.

D. – Con queste premesse si terranno le presidenziali del 15 giugno in un clima di tensione, immagino…

R. – Le elezioni si tengono sicuramente in un clima di tensione. Dobbiamo ricordarci che dal 25 aprile scorso, quando è diventata ufficiale la candidatura di Nkurunziza per la terza volta, nel Paese ci sono state manifestazioni. La stessa Conferenza episcopale del Burundi, che di solito è abbastanza diplomatica, ha detto con chiarezza che, con il terzo mandato del presidente Nkurunziza, si rischia di mettere a repentaglio il cammino di pace. Stiamo parlando infatti di un Paese che ha avuto – ha alle spalle – un quindicennio di guerra civile. Sotto sotto, c’è sempre il tema Hutu-Tutsi – le due etnie principali – e quindi i vescovi hanno detto: “Attenzione, perché se non si rispettano le regole, si rischia di cadere nella confusione, nella violenza e nella guerra un’altra volta”.

D. – La crisi ha portato alla fuga 140 mila burundesi nei Paesi limitrofi. Quali sono le conseguenze umanitarie di questa crisi politica?

R. – Non dimentichiamo mai che sia la Repubblica democratica del Congo sia la Tanzania, sia anche il Rwanda, sono Paesi che subiscono una forte pressione. Se la Tanzania la può subire con un certo "fair play", nel senso che è il Paese messo meglio da quelle parti, anche dal punto di vista dell’ammortizzamento dei flussi di rifugiati, questo non si può dire della Repubblica Democratica del Congo e anche del Rwanda. Il Congo è, infatti, un posto già destabilizzato dai fatti rwandesi non da oggi. Il Rwanda, invece, ha già una popolazione molto forte – 12 milioni di abitanti sono tanti per quelle dimensioni – e quindi questo creerà ulteriori tensioni e ulteriore preoccupazione. La comunità internazionale credo che si limiterà a fare quello che ha sempre fatto, cioè istituire dei campi profughi e mettere un po’ di soldi. Tali questioni, però, poi devono risolverle questi Paesi, le comunità, appunto, dell’Africa dell’Est e i vari presidenti.








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