2015-07-08 14:05:00

Afghanistan: primi colloqui ufficiali tra governo e talebani


Per la prima volta in 13 anni di guerra il governo dell’Afghanistan e i talebani si sono incontrati in forma ufficiale per avviare i negoziati di pace.  Al round di colloqui, che si è svolto in Pakistan vicino Islamabad, hanno partecipato anche osservatori di Stati Uniti e Cina. Il governo di Kabul ha auspicato che i negoziati “avviino un processo per evitare ulteriori distruzioni del Paese e per costruire il cammino verso una pace durevole”. Per un’analisi su questo incontro Michele Raviart ha intervistato l’esperto di cooperazione Pietro De Carli, autore del volume “Afghanistan nella tempesta”:

R. – Questo discorso nasce da lontano. Vorrei citare un’affermazione fatta dal Lakhdar Brahimi che era il rappresentante speciale delle Nazioni Unite in Afghanistan dal 2001 al 2004, il quale si rammaricò di non aver portato al tavolo del negoziato di Bonn nel 2001 anche i talebani a causa dell’intransigenza dell’allora amministrazione Bush. E disse: “Certo, Washington si sarebbe opposta alla loro partecipazione ma avremmo dovuto, come Nazioni Unite, contattarli subito dopo”. Questo concetto è stato espresso alcuni anni dopo, quando si vedeva che non si riusciva a uscire dalla situazione conflittuale che si era determinata in Afghanistan, nonostante ci fosse una presenza della comunità internazionale molto rilevante.

D. – Allora non ci furono colloqui con i talebani. Con chi si parla ora?

R. – E’ chiaro che ci sono delle forze, in modo particolare all’interno di Al Qaeda, con le quali non sarà mai possibile trattare. Ma un discorso del genere avrebbe potuto spaccare quel fronte, cioè trovare quelle forze moderate all’interno del movimento dei talebani che erano interessate a poter giocare un ruolo all’interno della nuova configurazione istituzionale che stava assumendo l’Afghanistan. Questo discorso ripreso oggi dall’attuale presidente Ashraf Ghani dimostra che c’è forse l’intenzione abbastanza esplicita di voler percorrere questo tentativo.

D.  – Allargando lo sguardo a tutto il Medio Oriente può questo metodo essere applicato in altre zone di crisi?

R. – Abbiamo visto che non si riesce ad esportare la democrazia con le armi né a costruire solide fondamenta di una società avulsa da questi fenomeni di degenerazione fondamentalista, senza pensare anche a possibilità di negoziato, di accordo, di possibile mediazione. Per esempio, se dovessimo in qualche modo paragonare questa situazione a quella del Medio Oriente, allora ci renderemo conto quanto sia più problematica. Da un lato non è possibile trattare con l’Is, ma dall’altro con le tribù libiche bisogna trattare. Ci sono possibili interlocutori che la comunità internazionale deve cercare in qualche modo di contattare, di utilizzare come possibili referenti, anche per rompere un possibile fronte che potrebbe sfruttare ancor più l’Is, se questo discorso non venisse portato avanti.

D.  – I colloqui si sono svolti in Pakistan, qual è il ruolo di questo Paese?

R.  – E’ evidente che il Pakistan ha sempre giocato un ruolo di ambiguità  come Paese di confine. Probabilmente era interessato a una situazione di stabilizzazione dell’Afghanistan, lo dimostra il fatto che nella sua area tribale i talebani abbiano potuto continuare ad operare con una certa professione. Insomma, poi, evidentemente le situazione si è modificata col tempo però possiamo dire che il Pakistan non ha giocato un ruolo coerente in riscontro a quello svolto dalla comunità internazionale per sostenere l’Afghanistan, per combattere a fondo il fenomeno del terrorismo, di cui tra l’altro ne è anche vittima.

D.  – Come osservatori pare ci fossero rappresentanti di Stati Uniti e Cina: sono loro ad avere i maggiori interessi in Afghanistan?

R. – Non sono solo gli Stati Uniti e la Cina anche se evidentemente loro hanno grossi interessi. Però è un peccato che l’Europa non giochi il ruolo che le spetti, che le compete, che dovrebbe competerle perché l’Europa è importante dal punto di vista geopolitico eppure ha abdicato a questa capacità di assumere un ruolo in questa contesa internazionale e già lo sfaldamento dei rapporti con la Grecia dimostra quanto sia precaria la situazione in Europa.








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