2015-07-08 13:31:00

Sì dell’Ungheria al muro con la Serbia e a espulsione veloce


L’Ungheria ha approvato ieri sera la legge che prevede una procedura accelerata per l’espulsione degli immigrati irregolari e la costruzione di una barriera di filo spinato al confine con la Serbia. Da questa frontiera, solo nell’ultimo anno, sono arrivate 67mila persone, ma dal 2010 ad oggi il flusso migratorio attraverso il cosiddetto “canale balcanico” è aumentato del 2.500%. Come si può interpretare questo fenomeno? Roberta Barbi lo ha chiesto a Francesco Martino, corrispondente da Sofia dell’Osservatorio Balcani e Caucaso:

R. – L’Ungheria vive una situazione molto particolare perché è stata in questi anni oggetto di due tipi distinti di migrazioni: una è lo sbocco nel cosiddetto “canale balcanico” che porta molti migranti, rifugiati e richiedenti asilo, che provengono soprattutto da Siria, ma anche Afghanistan e Iraq, a utilizzare i Balcani come ponte per raggiungere l’Europa ricca - Germania, Svezia, Austria - l’Europa centrale in generale. L’Ungheria, nello specifico, è stata anche lo sbocco di una migrazione di tipo diverso, di carattere soprattutto economico, che ha visto decine di migliaia di cittadini kosovari che, in questi mesi soprattutto, hanno provato la stessa strada, spinti dalla mancanza di prospettive in Kosovo. C’è stata la somma di questi due fenomeni che sicuramente ha contribuito a decisioni che sono state prese in questi giorni di innalzare questa barriera e rendere le procedure per la richiesta d’asilo molto più restrittive.

D. – I flussi migratori dall’Asia centrale si stanno spostando verso la cosiddetta rotta dei Balcani?

R. – La rotta dei Balcani è stata sempre attiva, basti pensare che la Grecia è insieme all’Italia uno dei punti di arrivo principali. Poi dalla Grecia la strada naturale via terra è appunto quella di attraversare i Paesi dei Balcani, molti dei quali oggi ancora non sono parte dell’Unione Europea. Probabilmente quello che sta succedendo è un utilizzo molto più massiccio di questa strada rispetto al passato, una strada che in qualche modo è stata sempre attiva.

D. – Il premier Orban ha difeso il provvedimento dicendo che i limiti della capacità di accoglienza del suo Paese sono stati ampiamente superati…

R. - È difficile dare un giudizio puntuale su questo, sicuramente contribuisce. È una situazione in cui Paesi come l’Ungheria - ma in passato e negli scorsi anche la Bulgaria - sono fondamentalmente impreparati visto che non c’è una tradizione di accoglienza di flussi massicci, ma anche considerazioni politiche interne. La cosa da sottolineare è che la decisione ungherese di costruire un muro s’inserisce in un contesto più generale di mancanza di solidarietà e mancanza di una visione politica complessiva da parte dell’Europa. Ricordo che nei Balcani il muro è già una realtà. Negli anni scorsi, prima la Grecia e poi la Bulgaria hanno già costruito e stanno ancora costruendo e ampliando barriere fisiche al confine con la Turchia. Quindi non è fenomeno che riguarda soltanto l’Ungheria ma vari Paesi dell’Unione e che in qualche modo conferma questo approccio “fai da te”: Paesi che oggi rappresentano la frontiera esterna dell’Unione anche per il fatto che non si sentono coperti da una politica complessiva e da una solidarietà generale all’interno dell’Unione Europea, mettono in campo questo tipo di iniziative assolutamente contrarie al principio di umanità ma anche ai trattati internazionali.

D. – La legge pare sia una modifica della normativa vigente ma di fatto limita il diritto d’asilo nel Paese: è possibile questo in base al regolamento di Dublino?

R. – Direi che all’atto pratico questo è possibile. La costruzione di barriere già di per sé rappresenta una limitazione evidente ed effettiva al diritto dei richiedenti asilo di poter, appunto, esercitare questo loro diritto. Molto spesso all’interno di questa Europa che oggi sembra molto divisa su tanti aspetti, compreso quello della migrazione, in qualche modo c’è un gioco delle parti: i Paesi che si trovano a dover gestire in prima persona il flusso migratorio, soprattutto quelli ai confini meridionali, denunciano la mancanza di solidarietà dei Paesi del nord che rappresentano molto spesso la vera meta di chi cerca rifugio in Europa. Dall’altra parte c’è il rimprovero da parte di Paesi come Germania, Francia, Svezia, sul fatto che fondamentalmente i Paesi del sud Europa sono del tutto impreparati e non fanno molto per migliorare le condizioni di accoglienza dei migranti, i rifugiati e i richiedenti asilo. Quindi c’è questo gioco sporco di scarica barile che poi alla fine si scarica sulle spalle di chi molto spesso fuggendo da situazioni drammatiche si trova a doversi spostare e cercare nuove possibilità di vita in un limbo legale che fondamentale mette in ulteriore pericolo la loro stessa esistenza fisica.

D. – Un uovo muro in Europa è una sconfitta per la politica dell’Unione?

R. – Da questo punto di vista, sì, non esiste un approccio condiviso. Questo è uno dei tanti aspetti della mancanza di una politica complessiva europea. Il solo fatto che in qualche modo l’Europa unita così come era stata immaginata non più di 20 anni fa è nata sul sogno di una distruzione e rimozione di un muro, simbolico ma anche fisico, il muro di Berlino, ma anche la Cortina di ferro, il fatto che oggi quello stesso sogno si sia messo per così dire a costruire muri ai suoi confini è la manifestazione di uno stato di malessere profondo.








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