2015-07-09 14:44:00

Colombia: all'Avana le Farc annunciano una tregua unilaterale


Il gruppo combattente colombiano delle Farc ha annunciato una tregua unilaterale con il governo a partire dal prossimo 20 luglio. La decisione risponde alla richiesta dei Paesi garanti dei negoziati, che si svolgono dal 2012 a Cuba. Il presidente colombiano Juan Manuel Santos ha commentato favorevolmente il gesto, precisando la necessità di “fare di più per accelerare le trattative”, che procedono tra momenti di tregua e ripresa dei combattimenti. “Il processo di pace è vivo e non è vero che si trovi nel suo momento peggiore, nonostante i recenti attacchi”, ha affermato mons. Luis Augusto Castro Quiroga, arcivescovo di Tunja e presidente del Conferenza episcopale colombiana. Per un’analisi sulla situazione nel Paese, Michele Raviart ha intervistato Niccolò Locatelli, editor di Limesonline ed esperto di America Latina.

R. – Il cessate-il-fuoco unilaterale annunciato dalle Farc non è in realtà "epocale", è il sesto che la guerriglia annuncia da quando nell’ottobre del 2012 sono iniziati i negoziati di pace con il governo colombiano. Sono misure che non saranno decisive, ma sicuramente, da una parte, favoriscono una ripresa del negoziato, perché è da poco iniziato un nuovo round di consultazioni fra esponenti della guerriglia e negoziatori del governo e, dall’altra, segnalano comunque la disponibilità delle Farc a fare un passo per far sì che queste trattative, che da circa un anno sono arenate su uno dei punti più dolenti, che è quello delle vittime, possano riprendere in un clima un po’ più disteso.

D. – Perché si crea questo schema di ritrattazioni, tregue e tregue che vengono anche sistematicamente violate…

R. –  Non è la prima volta, tra l’altro, che un governo colombiano cerca un’intesa con la guerriglia – ma mai come in questo momento le Farc sono deboli sia in termini di consenso sia in termini di effettivi a disposizione, perché sono state decimate durante la presidenza Uribe, il predecessore di Santos, che di Uribe tra l’altro era ministro della Difesa. Al tempo stesso, però, per quanto divise, per quanto indebolite, le Farc appunto devono fare i conti con un’ala militare, che non è sempre allineata con quella politica, e con la necessità di non dimostrarsi completamente già sconfitte sul campo, per poter usare la loro, per quanto residua, potenza di fuoco come strumento negoziale.

D. – Abbiamo parlato del problema del risarcimento alle vittime, ma quali sono gli altri punti ancora in discussione? Penso anche ad una eventuale amnistia…

R. – L’amnistia generale è stata smentita come richiesta dallo stesso leader delle Farc, in una recente intervista. Chiaramente però si pone il problema -  anche alla luce degli infruttuosi tentativi di coinvolgere le Farc in politica -  di garantire possibilmente una soluzione che non preveda il carcere a vita e permetta di dare una proiezione politica a quello che attualmente è un gruppo guerrigliero principalmente dedito al narcotraffico, ai rapimenti e quindi ad attività criminali, ma che nacque in base ad una serie di problemi, primo fra tutti – non casualmente primo punto discusso – la necessità di una riforma agraria. Quindi, per quanto poi le Farc siano degenerate, alcuni dei punti che – almeno inizialmente – sostenevano, sono dei problemi aperti in Colombia e hanno bisogno di una soluzione. C’è il tema importante  delle ricompense alle vittime, anche di chi viene considerato vittima. Le stesse Farc infatti si considerano vittime della violenza dello Stato. E poi naturalmente bisognerà arrivare ad un cessate il fuoco definitivo e bilaterale, quindi alla fine vera e propria del conflitto armato.

D. – Farc e governo non sembra siano gli unici attori in gioco né le Farc siano l’unico gruppo armato…

R. – Le ultime bombe, che poi fortunatamente hanno fatto solo feriti lievi, a Bogotà, negli ultimi giorni, sono state attribuite all’Eln, che è un altro di questi gruppi, più a sinistra delle Farc, che sta negoziando una pace con il governo colombiano, per quanto le trattative siano in una fase ancora anteriore rispetto a quella fra Colombia e Farc. Quello che è interessante, se vogliamo, di questa dichiarazione di cessate il fuoco unilaterale è che viene dopo le pressioni dei Paesi accompagnatori e dei Paesi garanti, rispettivamente Venezuela, Cile, Cuba e Norvegia, il che dà l’idea di come questa partita, che è essenzialmente una "partita colombiana", abbia però in realtà delle possibili conseguenze più ampie nello scenario latino americano, soprattutto per due Paesi come Cuba e Venezuela.

D. – Si può dire che Cuba stia vivendo una sorta di "rinascimento diplomatico" dopo la riapertura delle relazioni con gli Stati Uniti?

R. – Per quanto naturalmente l’apertura di colloqui di pace sia precedente al disgelo che stiamo vedendo in questi ultimi mesi con gli Stati Uniti, era però sicuramente un indizio della necessità di Cuba di affrancarsi dal comunque conveniente abbraccio venezuelano, per cercare di diversificare i partner, non solo economici, a livello internazionale. Nel 2012, cioè, quando Cuba scelse di fare da garante e di ospitare in realtà i negoziati fra Colombia e la guerriglia, verso la quale i Castro non avevano grande stima, soprattutto negli ultimi decenni, l’idea era appunto quella di presentarsi al mondo non più come Stato sponsor del terrorismo, come gli Stati Uniti lo consideravano, ma come in realtà un potenziale partner della pace e dello sviluppo in America Latina.








All the contents on this site are copyrighted ©.