2015-07-11 16:53:00

A Srebrenica commemorazioni solenni 20 anni dall’eccidio


20 anni fa veniva consumato, a Srebrenica, il massacro di oltre 8 mila bosniaci musulmani. Giornata, oggi, di lutto nazionale in tutta la Bosnia ed Erzegovina, indetta dal governo federale di Sarajevo, che ha organizzato una commemorazione solenne nei luoghi dell’eccidio, con  la partecipazione di oltre cinquantamila persone arrivate da tutto il paese, e alla presenza di 80 rappresentanti internazionali e leader politici, tra cui Bill Clinton, all’epoca dei tragici fatti presidente degli Stati Uniti,e per l'Italia, la presidente della Camera Laura Boldrini. Il servizio di Roberta Gisotti:

Tra le pagine più nere nella storia dell’umanità. Più di mille degli oltre 8 mila uomini e ragazzi trucidati a Srebrenica non hanno ancora un nome, sterminati in meno di quattro giorni, a pochi mesi dalla fine della guerra per l’indipendenza della Bosnia ed Erzegovina. Dopo la dissoluzione della Jugolasvia, i serbo-bosniaci che avrebbero voluto restare parte integrante di una grande Serbia, con il sostegno di Belgrado, avviano nella primavera del 1992 - il 6 aprile fu attaccata e posta sott’assedio Sarajevo - una campagna di violenze contro la popolazione musulmana, migliaia le vittime e migliaia in fuga nell’enclave di Srebrenica, nell’est della Bosnia, che sotto assedio viene dichiarata nel 1993 “area protetta” dalle Nazioni Unite, affidata a un contingente canadese di caschi blu, rimpiazzato poi da uno olandese. Passano due anni in armi e arriviamo a quel tragico 11 luglio 1995, quando le truppe al comando del generale Ratko Mladic, entrano a Srebrenica, separano donne e bambini e massacrano 8.372 maschi, secondo un disegno di "pulizia etnica", e ne gettano i corpi per massima parte in fosse comuni.

Dopo vent’anni, la più grave carneficina in Europa dalla seconda Guerra mondiale resta una ferita aperta nella comunità internazionale. La  Russia ha posto nei giorni scorsi il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu a una risoluzione che la definisce un “genocidio”. E c’è chi accusa le diplomazie di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia ed Onu di avere in qualche modo "tollerato"’ il massacro per arrivare a ogni costo alla pace di Dayton nel dicembre seguente, come ha di recente documentato il domenicale britannico Observer. Intanto, il generale carnefice, Mladic, è ancora in attesa di processo dal Tribunale internazionale dell’Aja per genocidio e crimini contro l’umanità, mentre le famiglie delle vittime continuano a cercare le ossa dei loro cari nei boschi della zona e chiedono conto all’Onu di non averle protette.

Durante la commemorazione il premier serbo, Alaksandar Vucic, ha dovuto lasciare la cerimonia dopo essere stato colpito alla testa da una pietra lanciata dalla folla inferocita che lo contestava fin dal suo arrivo urlando "Allah akbar", Dio è grande. La cerimonia al Memoriale di Potocari ha visto la tumulazione delle ultime 136 persone delle quali sono stati recentemente identificati i resti. Marina Tomarro ha raccolto il commento di Andrea Oskari Rossini, giornalista dell’Osservatorio Balcani e Caucaso, presente alla commemorazione.

R. – Ci sono soprattutto migliaia di persone – 50 mila, secondo gli organizzatori – che stanno letteralmente invadendo l’area del Memoriale. Non c’è posto per tutti, per cui la gente sta trovando spazio proprio tra le tombe delle 6 mila e 200 persone che sono qui sepolte. Ne mancano ancora circa 2.000, che devono ancora essere ritrovate e identificate. Ci sono state particolari polemiche legate alla presenza del primo ministro serbo, Alexander Vucic. Vucic era, però, negli anni ’90 un rappresentante della politica di Milosevic, per cui è interessante vedere quale sia l’atteggiamento dell’opinione pubblica e delle istituzioni bosniaco-musulmane nei confronti di questa visita. Ad oggi, i messaggi sono stati ambigui: da un lato, c’è la soddisfazione, perché finalmente, 20 anni dopo, la Serbia riconosce questo crimine, anche se con alcuni distinguo – preferiscono non utilizzare il termine “genocidio” – dall’altro, però, c’è anche un po’ di fastidio per – appunto – tutti i distinguo, che ha fatto Vucic nell’annunciare questa sua visita.

D. – Qual è lo stato d’animo delle persone che sono presenti lì?

R. – Ieri, ho assistito all’arrivo al memoriale delle 136 bare. I familiari di queste vittime erano da un lato straziati e, dall’altro, era come se finalmente si potesse chiudere questa pagina. Uno degli aspetti infatti collegati al genocidio di Srebrenica è che, nei giorni successivi alla strage, le forze serbo-bosniache hanno nascosto in fosse comuni le vittime, che poi hanno rimosso e spostato in fosse comuni secondarie e terziarie. Cosa che ha prolungato il dolore delle famiglie. Ci sono ancora appunto duemila vittime, che devono ancora essere identificate, e ci sono 136 vittime, 136 famiglie, che possono seppellire i loro cari solo oggi, 20 anni dopo il luglio del ’95.

D. – Qual è oggi il messaggio di Srebrenica?

R. – Si dice che bisogna trovare dei modi, che la comunità internazionale debba trovare degli strumenti efficaci per difendere la popolazione in area di conflitto. Srebrenica ci dice che non è possibile stare a guardare quello che oggi sta avvenendo in Siria. Bisogna che la comunità internazionale abbia la capacità e la forza, da un lato, di interporsi nelle aree di conflitto, ma soprattutto di proteggere la popolazione civile. I bosniaco musulmani di Srebrenica sono stati abbandonati dalle Nazioni Unite che erano presenti in zona, da quanti vedevano esattamente in tempo reale quello che stava avvenendo dai satelliti spia. Per cui, io credo che sia questo il messaggio principale.

D. – Qual è il clima attuale, adesso, in Bosnia, invece?

R. – La Bosnia è un Paese ancora bloccato da un punto di vista politico, perché gli accordi di Dayton, che hanno posto fine alla guerra, 20 anni fa, non sono riusciti a creare un Paese che sia sostenibile, che funzioni e che riesca ad affrontare il percorso di integrazione europea che ha di fronte e che gli è stato offerto dall’Unione Europea. La Bosnia di oggi è un Paese estremamente diviso su basi etniche e corrisponde a quella che era l’immagine che volevano i nazionalisti 20 anni fa. Oggi, questo tipo di architettura istituzionale non funziona, quindi la costituzione di Dayton va riformata. L’atteggiamento della comunità internazionale ora è di attendere che le istituzioni bosniache da sole possano fare queste riforme. Lo vedo come un percorso estremamente complicato, senza un intervento da parte della comunità internazionale, che aveva aiutato a fare gli accordi di Dayton 20 anni fa.








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