2015-07-14 14:31:00

Commozione per la morte di Fratel Arturo Paoli, dono per la Chiesa e i poveri


"Un dono straordinario per la Chiesa, in particolare a favore dei più poveri”. Così, l’arcivescovo di Lucca, mons. Italo  Castellani, ha voluto definire fratel Arturo Paoli, religioso missionario, della congregazione dei Piccoli Fratelli del Vangelo, morto domenica notte, a 102 anni, a San Martino in Vignale. Domani, alle 18, le sue esequie nella cattedrale di Lucca. Il salvataggio di centinaia di ebrei durante la Seconda Guerra Mondiale, per cui fu riconosciuto “Giusto fra le nazioni”, l’impegno nell’Azione Cattolica in Italia, l’esperienza missionaria a difesa dei deboli in America Latina, dove conobbe il futuro Papa Francesco, sono alcuni tratti della biografia di questo maestro di spiritualità, ricevuto dal Pontefice nel gennaio 2014 a Santa Marta. Al microfono di Fabio Colagrande, don Luigi Verdi, della fraternità di Romena, lo ricorda così:

R. – Quello che mi ha sempre colpito di lui era la leggerezza. Diceva che quello che rende bella la vita è il non portare fardelli: “Non ti posso dire – diceva – che la mia vita sia stata buona. E’ stata anche piena di difficoltà… Però queste avversità mi sono sempre servite ad avanzare, a vedere più in là e soprattutto a liberarmi da tutta la mia pesantezza”. Aveva, per così dire, una grandezza basata sulla leggerezza. La capacità di non farsi avvelenare da niente e poi dava un grande valore all’amore di Dio: “Non siamo noi ad amare Dio – diceva fratel Arturo - ma è Dio che ama noi”. Insisteva sul fatto che Dio non si conquista, ma si accoglie. E sulla tenerezza e la misericordia di Dio, che lui riusciva sempre a far emergere, un po’ come sta facendo Papa Francesco. Lui diceva che noi pensiamo sempre al rapporto con Dio come a qualsiasi altra relazione umana, in cui si costruisce, si fa… In realtà, Dio ha bisogno dell’uomo non tanto per realizzare qualcosa, ma ha bisogno della sua tenerezza, ha bisogno del vuoto dell’uomo, dei limiti dell’uomo, di questa impotenza dell’uomo. Ed è proprio lì che emerge tutta la tenerezza e la misericordia di Dio. E chiaramente, poi, per fratel Arturo era centrale l’attenzione ai poveri. Lui diceva: “Mi convinse a entrare nei Piccoli Fratelli il fatto di stare in mezzo ai poveri”. Era certo che la Chiesa dovesse stare con i poveri e che esistesse solo un cammino alla fine, quello di Gesù, e cioè accorgersi che nella vita le persone hanno bisogno di poche cose: un pezzo di pane, un po’ di affetto, sentirsi a casa da qualche parte. Ultimamente diceva che oggi i poveri sono le prime vittime di un sistema economico disumano e che la giustizia – per lui – esprimeva la necessità di stare dalla loro parte. Era meraviglioso il fatto che non si sentisse troppo vecchio per partecipare: fino a novant’anni partecipava a tutto! E quando era giovane non si sentiva troppo giovane per non guidare, per non dare indicazioni.

D. – Fratel Arturo Paoli nonostante l’età ha continuato a girare l’Italia e a tenere tante conferenze. Abbiamo visto anche la reazione sul web alla notizia della sua morte: tantissimi credenti e non, in tutta Italia, erano legati a lui. Perché, secondo lei?

R. – Secondo me, perché aveva davvero una grande umanità insieme ad una grandissima profondità. Non era veramente soltanto colui che faceva servizio ai poveri o che gridava per i poveri: spingeva i poveri sempre ad una grande responsabilità, ad una grande profondità evangelica. La naturalezza, veramente… Io ricordo un po’ le parole di Papa Giovanni quando diceva: “Ciò che è semplice è naturale e ciò che è naturale racchiude il divino”. Fratel Arturo dava l’idea proprio di essere un uomo molto naturale, molto semplice, a cui piaceva sempre la dimensione della fraternità, una dimensione in cui ogni persona si potesse sentire a casa, potesse sentirsi accolta in qualche modo. Quindi questa umanità, questo sguardo, questo sorriso erano le prime porte per arrivare a Dio.

D. – Come aveva vissuto Fratel Arturo l’elezione di Papa Francesco?

R. – Era davvero molto contento. Contento perché ritrovava in Francesco, in fondo, questa attenzione ai poveri e soprattutto l’attenzione ad andare all’essenza del cristianesimo. Quelle poche parole incisive su cui non si gira intorno: lui diceva che se vuoi capire se una cosa è opera di Dio devi guardare a un fiore che sboccia. Un fiore sboccia non tanto se c’è un recinto intorno o delle strutture rigide come uno steccato che lo difendono, ma nasce con la luce e il calore. Quindi vedeva in in Francesco, negli occhi di quest’uomo - e a me sembra molto simile questa luce degli occhi di Papa Francesco a quella di Fratel Arturo – quella luce e quel calore che possono veramente portare l’uomo a Dio.








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