2015-07-17 14:05:00

Mosul ad un anno da cacciata dei cristiani. Mons. Yaldo: è martirio


Il 16 luglio di un anno fa, si ebbe notizia per la prima volta delle case dei cristiani di Mosul, in Iraq, segnate minacciosamente con la lettera araba "Nun" (N), cioè seguaci del "Nazareno". Oggi, nella città occupata dallo Stato Islamico non ci sono più cristiani, le chiese sono chiuse o trasformate in moschee. E la fuga della minoranza cristiana dall'Iraq continua, come testimonia al microfono di Roberta Barbi il vescovo ausiliare del Patriarcato caldeo di Baghdad, mons. Basilio Yaldo:

R. – La situazione è tale per cui tutti gli iracheni soffrono, ma i cristiani in modo particolare, soffrono di più perché sono solo una minoranza nel Paese: non hanno alcun potere né alcuna autorità. Soffrono anche per il fenomeno delle emigrazioni, che divide le loro famiglie e che li porta a spostarsi in diverse parti del mondo: adesso ci sono cristiani iracheni in Giordania, in Siria, in Libano, in Turchia… Forse in Siria meno perché la situazione è anche peggiore della nostra.

D. – La situazione è preoccupante soprattutto a Mosul, che rappresenta una delle comunità cristiane più antiche, con una storia di oltre 1.700 anni, ridotta ora a solo poche persone…

R. – I cristiani erano la maggioranza attorno alla città di Mosul, che è la seconda città più grande dell’Iraq. Dopo Baghdad, che è la capitale, c’è Ninive, il nome antico di Mosul. Quasi tutti i cristiani dell’Iraq appartengono a questa città, Ninive, l’attuale Mosul, dove è presente lo Stato Islamico, il Daesh. I cristiani erano nei villaggi che appartengono a Ninive - tanti villaggi erano interamente cristiani, anch’io sono di lì - un giorno sono scappati e sono diventati rifugiati, hanno lasciato questi villaggi proprio un anno fa, quando è entrato l’Is. Era notte, hanno lasciato i loro villaggi e le loro case più di 120mila cristiani! Nessuno è più nei villaggi che appartengono a Mosul: la maggioranza dei cristiani è andata via.

D. – Molti sono stati costretti a scappare per paura, ma anche perché non possono pagare la tassa di protezione…

R. – Hanno dato loro tre possibilità: pagare la tassa, diventare musulmani o lasciare le loro case e andarsene da un’altra parte…

D. – Dove vanno i cristiani cacciati dalle loro case e come vivono?

R. – Sono andati verso altre città, Erbil e Duhok, che appartengono alla parte del Kurdistan. I primi giorni sono stati molto difficili per loro: la maggior parte di loro hanno dormito in strada. La Chiesa ha subito cercato di aiutare questi cristiani: prima di tutto ha costruito le tende, poi ha messo a disposizione roulotte e van. Dopo alcuni mesi ha pensato anche di affittare alcune case: in ogni stanza vivono tre famiglie. Dividono la stanza con una tenda e vivono tre famiglie: in una sola stanza! Adesso la Chiesa sta cercando di aiutarli anche in altri modi.

D. – Ci sono anche continue notizie di espropriazioni e distruzioni di chiese e conventi…

R. – Da una settimana la situazione è molto peggiorata rispetto a prima. La settimana scorsa hanno preso alcune case dei cristiani e hanno rapito 2 o 3 cristiani a Baghdad, che poi hanno ammazzato; altri 2 hanno pagato il riscatto e dopo una settimana sono stati rilasciati…

D. – Cosa può fare la comunità internazionale? Come vi può aiutare?

R. – La Comunità internazionale può aiutare il nostro Paese facendo pressione sul nostro governo e cercando di creare una sorta di protezione internazionale di questi villaggi. Nonostante mandino aiuti – aiuti sanitari, cibo, vestiario – mancano ancora tante cose. Prima in Iraq c’erano più di un milione di cristiani, questo prima del 2003; il numero poi è cominciato a diminuire e adesso non se ne trovano più di 400mila: meno della metà! Purtroppo noi siamo quel che ne resta, perché il martirio è il carisma della nostra Chiesa: all’inizio è stata perseguitata dai persiani, poi dagli arabi, poi dai mongoli, dagli ottomani. Adesso dal Daesh!








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