2015-07-18 14:49:00

Mandela Day. Noury: attuale suo esempio contro discriminazioni


“Nelson Mandela ha combattuto 67 anni per la giustizia, noi ti chiediamo solo 67 minuti”. E’ questo lo slogan del Mandela Day, celebrato oggi in tutto il mondo in occasione del compleanno dello scomparso leader sudafricano, il cui messaggio di impegno civile è più che mai attuale. Ma chi era, e cosa può dirci, oggi Nelson Mandela? Giacomo Zandonini ha raccolto il commento di Riccardo Noury, portavoce italiano di Amnesty International:

R. – E’ una persona straordinaria che, in una doppia vita – la prima del carcere e la seconda come leader politico del suo Paese – ha speso anni e anni, anzi decenni e decenni, nell’obiettivo di un Paese in cui i diritti umani valessero per tutti. E’ stato protagonista della sconfitta dell’apartheid e dello sviluppo separato, durato quasi mezzo secolo, ed è stato protagonista di un nuovo Sudafrica in cui almeno si è tentato di porre fine alla discriminazione, di porre fine alle disuguaglianza, di porre fine all’idea che il colore della pelle necessitasse luoghi fisici separati e diversi da quelli in cui stava la maggioranza dominante bianca. E’ un esempio, il suo, fondamentale di cui oggi non vediamo, purtroppo, molti eredi.

D. – La lotta di Nelson Mandela è una lotta quanto mai attuale. Quali situazioni, a livello globale, oggi richiamano la nostra attenzione?

R. – L’eredità di Mandela non è stata raccolta in maniera soddisfacente: ad esempio, proprio in Sudafrica c’è un problema di discriminazione profonda nei confronti dei lavoratori migranti che arrivano da Paesi confinanti. Il Sudafrica oggi è un Paese dove c’è maggiore ricchezza rispetto agli altri dell’Africa meridionale e, dunque, lì c’è un problema di discriminazione. Quello più evidente oggi è forse quello che si verifica in Myanmar, nel Sudest asiatico, dove una minoranza di senza patria, senza documenti, senza identità, che sono i rohingya, subisce persecuzione – abbiamo visto anche recentemente le tragedie dei boat-people imbarcati per cercare di sfuggire dalla persecuzione. Se togliamo qualunque aggettivo, oppure ne aggiungiamo altri, al concetto di discriminazione, vediamo che oggi milioni di persone vivono in condizioni di disuguaglianza e di rischio per quello che sono, per la fede che professano – penso ai tanti cristiani perseguiti nel mondo – e per aspetti legati alla loro etnia e penso anche ai nativi dell’America del Sud, che ancora continuano a subire discriminazioni e sfruttamento da parte delle istituzioni e delle grandi compagnie interessate alla loro terre.

D. – A parte queste realtà, che potrebbero sembrare lontane, oggi anche in Europa e in Italia viviamo alcune realtà di discriminazione molto presenti…

R. – La crisi globale dei rifugiati: oggi direi circa 60 milioni di persone che sono state costrette a lasciare tutto per via della guerra, della tortura, della persecuzione. Una piccola parte di loro arriva in Europa e questa piccola parte di loro è ostacolata continuamente nel diritto a cercare un secondo luogo in cui vivere, è accolta con politiche che ne impediscono il riconoscimento pieno dell’asilo, che bloccano le persone ai confini, che le respingono, e da una ostilità crescente delle popolazioni locali, alle quali probabilmente arrivano esempi brutti di grida, di urla e non esempi positivi come quello di Mandela.

D. – Cosa può fare un semplice cittadino per cambiare questa situazione?

R. – Raccogliere gli esempi: quello di Mandela certamente, ma penso anche a quello di Malala Yousafzai, che ha lottano per l’accesso delle bambine all’istruzione nel suo Paese, il Pakistan, e che per poco non perdeva la vita. Oppure semplicemente imitare, ma per contrasto, ciò che altri fanno: oggi vediamo sempre di più che delle persone si muovono in proprio, agiscono autonomamente e scendono in piazza per erigere barricate, per urlare contro i migranti, contro i rifugiati, come se arrivassero i tifosi di calcio della squadra avversario o – peggio – dei pluricriminali. Ecco, allora forse si può agire in prima persona per dire che c’è un Paese che li accoglie, che è solidale. Un Paese che conosce quali siano le difficoltà di dare ospitalità temporanea a persone che mai avrebbero voluto venire in casa nostra, se casa loro non gliela avessero distrutta. Queste persone devono essere aiutate.








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