2015-07-19 13:41:00

Immigrazione. Perego: nessuna invasione, proteste irresponsabili


E’ tornata la calma a Roma, a Casale San Nicola, dopo la rivolta anti-profughi organizzata da alcuni residenti e dall’estrema destra. La polizia ha arrestato 2 persone, alcuni sono rimasti feriti negli scontri. Sono invece ai domiciliari i cinque appartenenti ai centri sociali finiti in manette ieri per gli incidenti avvenuti davanti e all’interno della prefettura di Treviso. L’accusa è di oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio, manifestazione non autorizzata e ingiurie. Oltre a loro altri 28 giovani sono stati denunciati. Intanto nel Canale di Sicilia non si fermano gli sbarchi mentre sono ancora in corso le operazioni di identificazione e visite mediche dei 451 migranti arrivati ieri a Cagliari, anche qui però militanti di CasaPound sono scesi in strada portando striscioni con scritto “Stop immigrazione”. Sulle vicende di questi giorni il monito del direttore della Fondazione Migrantes mons. Giancarlo Perego che condannando ogni “atteggiamento di rifiuto e contrapposizione”, ha ribadito: “nessuna invasione, sono proteste di irresponsabili”; poi ha chiesto che sia ripensato il sistema di accoglienza e all’Europa di mettere fine ad ogni nazionalismo e “non frantumarsi sulla politica di asilo”. In Italia ha aggiunto, “manca un piano organico che coinvolga ogni comune nel prevedere tra i propri servizi l’accoglienza di un richiedente asilo o di una famiglia di rifugiati”. L’organismo della Cei ha rilevato inoltre che “in un’Italia dove si muore più che nascere, dove 100 mila giovani sono emigrati, essi rappresentano una risorsa straordinaria se gestita bene”. Intanto, se le proteste fanno rumore, crescono nel silenzio dei media le iniziative di solidarietà. E' quanto accade, per esempio, nella stazione di Milano dove sono oltre 70mila i profughi transitati dall'ottobre del 2013: per lo più scappano da miseria e guerra. Per questo è stato inaugurato un nuovo spazio per accogliere i migranti, gestito dal Progetto Arca. Operatori, mediatori culturali e volontari cercano di fornire una prima assistenza. Maria Cristina Montagnaro ha chiesto al presidente dell'associazione, Alberto Sinigallia, quale sia la situazione in questo momento:

R. – È un flusso continuo: in questo momento parliamo dalle 150 alle 500 persone tutti i giorni. Sono sempre persone che vogliono andare nel Nord Europa: sono passate 70.000 persone negli ultimi 20 mesi e il 99,9% è andato per lo più in Germania e in Svezia.

D. – Avete predisposto una nuova sistemazione? Di che cosa si tratta?

R. – Sì, sono 450 metri quadri, in cui c’è uno spazio per i bambini, uno spazio medico dove ci sono pediatri, medici della Croce Rossa per le visite, c’è uno spazio di ristoro dove bevono e mangiano e uno spazio di accoglienza dove aspettano per essere portati nei centri.

D. – Di che cosa hanno più bisogno?

R. – Di fare un stop al viaggio per poter ripartire e poi radicarsi nella nuova terra.

D.  – Che cosa fate nel concreto?

R. – La permanenza media a Milano è di quattro giorni. Sono persone che si fermano perché aspettano i soldi dalla Germania per fare l’ultimo tratto di viaggio e hanno bisogno di un luogo dove riposarsi. Arrivano dalla traversata, tante volte anche dalla traversata del deserto - soprattutto gli eritrei - per cui si tratta di persone molto stanche. Per chi ha bisogno della parte medica abbiamo il medico nei centri. A chi ha bisogno di farsi la doccia, riposarsi, mangiare - soprattutto ai bambini - diamo un’accoglienza, uno spazio gioco in tutti i centri con degli operatori che possano dedicarsi a normalizzare quello che potrebbe diventare un trauma. E poi diamo la possibilità di connettersi con i parenti attraverso Skype, contatti informatici, telefonate…

D. – Che cosa chiedete alle istituzioni?

R. – La soluzione del problema sarebbe rilasciare un permesso temporaneo per raggiungere i Paesi dove vogliono andare e i Paesi che li vogliono accogliere.

D. – La maggior parte dei profughi che accogliete di che nazionalità è?

R. – L’anno scorso era siriana. Quest’anno invece sono eritrei, perché da qualche mese l’arruolamento in Eritrea è passato dai 16 ai 14 anni, per cui i genitori, pur di non far arruolare i propri figli nell’esercito, gli fanno fare questo viaggio della speranza, addirittura senza accompagnarli: molti sono minori non accompagnati.

D. – E a che cosa si espongono questi minori non accompagnati?

R. – Per lo più sono maschi. Per la parte femminile, come possiamo immaginare, possono essere intercettati da mala vita, da trafficanti... Abbiamo segnalato alcune situazioni che potevano essere a rischio.








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