2015-07-23 15:43:00

Piazza della Loggia: condanne che fanno storia ma poca giustizia


Dopo 41 anni, 3 inchieste e 12 processi, la giustizia ha stabilito che a firmare l’attentato di piazza della Loggia, a Brescia, furono Carlo Maria Maggi, ispettore dell’organizzazione neofascista "Ordine Nuovo" e Maurizio Tramonte, ex fonte dei servizi segreti, entrambi condannati all’ergastolo. La sentenza è arrivata ieri sera, dalla Corte d’Assise d’Appello di Milano. Era il 28 maggio del 1974 quando l’esplosione di una bomba, durante una manifestazione antifascista, uccise 8 persone e ne ferì cento, tra le vittime Livia Bottardi. Oggi il marito, Manlio Milani, è presidente dell’Associazione vittime della strage di piazza della Loggia, e presidente della Casa Della Memoria di Brescia. Francesca Sabatinelli lo ha intervistato:

R. – Per la prima volta ci siamo trovati di fronte a una dichiarazione di responsabilità da parte della magistratura: l’individuazione dei colpevoli. Il tema della mancanza del colpevole è sempre stato un problema che ci ha accompagnato in questi anni, perché la mancanza del volto ti dice moltissime cose. Ti dice intanto che manca una giustizia ma, soprattutto, ti impedisce di poter avviare un dialogo con il colpevole e attraverso lui capire il perché determinati fatti possono accadere e come una persona possa arrivare anche al punto di ucciderne altre, addirittura, in questo caso, senza nemmeno conoscerle, trattandosi di una bomba collocata in mezzo alle persone. Questo è indubbiamente un elemento, almeno personalmente, molto importante. Ti dà certezza di giustizia e ti porta anche, allo stesso tempo, a poterti interrogare: adesso ho davanti a me un volto del colpevole e quindi come mi comporterò con lui nei prossimi anni?

D.  – Lei ha anche detto però che questa è una giustizia depotenziata…

R. – Sì, il tempo depotenzia le cose. La verità di oggi, se noi l’avessimo saputa 40 anni fa, non soltanto avrebbe avuto un valore diverso nella sua immediatezza ma, proprio perché scoperta immediatamente, avrebbe potuto portare ad evitare altri orrori. Maggi, condannato perché è il mandante di una strage come quella di Brescia, dirà: “Questo fatto non deve restare isolato”. Due mesi dopo avemmo la strage dell’Italicus (nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 ndr). Non dico che lui sia dietro anche all’Italicus, dico che però se si fosse intervenuti immediatamente probabilmente, altri fatti avrebbero potuto essere evitati. Soprattutto avremmo avuto la possibilità di intervenire immediatamente sui meccanismi di copertura che purtroppo hanno caratterizzato la storia di questi eventi. Allo stesso tempo io credo che le istituzioni democratiche avrebbero tratto un grande vantaggio dalla immediata verità proprio dal punto di vista della credibilità istituzionale. Noi siamo di fronte a questa sentenza che ci dice che il quinquennio ’69-’74 non può essere letto in modo separato, ma in una continuità complessiva, soltanto così possiamo farlo. Questa sentenza ci aiuta a entrare nella storia, nel merito delle analisi della storia, e a capire con maggiore chiarezza ciò che è avvenuto, perché è avvenuto, quali le responsabilità ma, ripeto, soprattutto, i meccanismi che hanno intaccato il processo democratico.

D. – La fotografia che la ritrae al capezzale di sua moglie, a piazza della Loggia subito dopo l’attentato, non è possibile cancellarla dalla memoria di nessuno. E lei ha detto più volte: “Per me il tempo si è fermato quel giorno”. E’ così ancora oggi?

R. – Sì, perché rimane comunque dentro di te una domanda: cosa saremmo stati noi se quella mattina non fosse avvenuto ciò che è avvenuto ? Però, nello stesso tempo, oggi, posso dire che finalmente quei corpi prima privi di giustizia, che erano come fantasmi che vagavano, oggi con questa sentenza, con questa verità raggiunta, possono finalmente riposare in pace. E questo modifica di molto la percezione di quel giorno.

A seguire per il Corriere della Sera gli anni del terrorismo nero e rosso fu Antonio Ferrari, importante firma del quotidiano milanese che, al microfono di Francesca Sabatinelli, così ricorda quel lontano giorno del 1974:

R. – Appena sentita la notizia corsi al giornale, ero a Milano cominciai a fare delle telefonate. Chiamai il nostro corrispondente da Brescia e subito dopo iniziai anch’io insieme ad altri colleghi a seguire questa faticosissima inchiesta sull’orlo di questa emozione. Eravamo già a 5 anni dalla strage di piazza Fontana, però per noi quel momento era un momento quasi di conferma di quella strategia della tensione. Ecco perché ogni giornalista che aveva curiosità si era lanciato su questa vicenda per cercare di capire.

D. – Questa sentenza cosa ci dice che non ci abbiano già detto gli anni passati?

R. – Ben poco, ben poco. Probabilmente le responsabilità saranno acclarate, io però ho molti dubbi. Io penso che questa sia una di quelle soluzioni che in qualche misura lascia intendere che forse si è arrivati vicini alla verità, forse, pensiamo che uno degli imputati (Maggi ndr) ha più di 80 anni, quindi al massimo potrà avere gli arresti domiciliari. E però questo non significa avere scoperto tutto il meccanismo della strage. Io credo che il meccanismo della strage sia molto più complesso di quanto ci dica questo frammento di verità. Non mi consente di andare oltre.

D.  – Un frammento di verità che ci consente in qualche modo di sperare forse che si squarcino i veli anche sulle altre grandi stragi di quegli anni, dal ’69 al ’74?

R. – Sperare naturalmente è sempre importante e dobbiamo continuare a farlo. Io non sono particolarmente ottimista, anche se questo indubbiamente nel buio del tunnel è comunque la fiammella di un piccolo risultato. Altre stragi e altre vicende hanno avuto un livello compromissorio temo molto più alto persino della strage di piazza della Loggia. E quindi se questo potesse aiutare a raggiungere anche i mandanti oltre che gli esecutori - a me interesserebbero soprattutto i mandanti dell’intera strategia della tensione – avremmo fatto veramente un passo gigantesco in avanti. Personalmente ne dubito. Sarà, come dire, il pessimismo della ragione, pur con tutto l’ottimismo della volontà io mi sento di dubitare, perché forse non siamo ancora pronti a fare tutti i conti con il passato.

D. - Resta però un punto fermo di questa sentenza, qual è?

R.  – La responsabilità dei neofascisti e delle organizzazioni neofasciste collegate con la parte deviata dei servizi segreti. Non dimentichiamo che allora i servizi segreti italiani erano pesantemente "inquinati" ed erano "inquinati" anche dalla P2: Vito Miceli, che era il capo del SID, era iscritto alla Loggia massonica P2 e un altro generale, Gianadelio Maletti, che era il capo dell’ufficio controspionaggio, era anche lui iscritto alla P2. Io credo che queste cose vadano sempre tenute in considerazione, perché se vogliamo gettare un fascio di luce vero dobbiamo andare a indagare sulle commistioni tra servizi segreti  deviati o meno,  ci sono i deviati ma ci sono anche quelli che hanno accettato di farsi deviare, e altre responsabilità politiche, perché di sicuro ci sono state anche responsabilità politiche.








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