2015-07-23 15:22:00

Somalia: forze internazionali liberano Bandere da al Shabab


Forze dell’Unione Africana (Ua) e dell’esercito somalo hanno strappato ai militanti al Shabab il controllo della città strategica di Bardere, nella parte meridionale del Paese. Una settimana fa la missione Amisom dell’Ua ha lanciato una nuova offensiva contro le milizie qaediste, e gli al Shabab sono stati quasi completamente cacciati dalla Somalia centrale. Per un’analisi della situazione politico-militare nel Corno d’Africa, Marco Guerra ha intervistato l’analista strategico Alessandro Politi:

R. – Questa vittoria va letta come un altro passo avanti nel ridurre le capacità di al Shabaab dal punto di vista militare, il che non significa averle ridotte dal punto di vista politico e sociale, perché Bardere è un nodo di comunicazione abbastanza importante, tanto perché ha un fiume, quanto per un aeroporto, quanto per un nodo di strade che attraversano questa cittadina. Però non basta questo per dire veramente che la campagna contro al Shabaab è vinta se la gestione del processo politico di pacificazione non è equilibrata dal punto di vista politico e sociale e se poi tutte le operazioni vengono percepite come guidate da eserciti stranieri.

D. – Una settimana fa l’Unione africana ha lanciato una nuova offensiva contro gli al Shabaab. Da mesi poi sono stati poi completamente cacciati dalla Somalia centrale, ma le milizie qaediste in Somalia sono veramente vicino alla sconfitta oppure poi, come si vede, rialzano la testa e riescono a colpire oltre i confini somali?

R. – Al Shabaab non è la prima volta che cede il controllo di città quasi senza combattere, perché vuole cedere spazio in cambio di tempo e di linee logistiche vulnerabili per le forze nemiche, soprattutto quelle d’oltre frontiera, quindi etiopiche e keniote. E questo per ora è il caso: cioè, è prematuro parlare di svolta decisiva nei confronti di al Shabaab che ancora occupa e soprattutto controlla vasti territori e rende molto divise le zone occupate dal governo legittimo di transizione e dalle forze dell’Amisom.

D. - La Somalia, sappiamo, è uno dei territori più instabili del pianeta. In questa regione africana come si colloca la realtà al Shabaab?

R. – Le varie forze di guerriglia e terroristiche hanno connessioni di comunicazione o di percezione ma dal punto di vista operativo, anche se la Somalia si trasformasse in un "giardino di pace" domani, questo non cambierebbe granché le cose nello Yemen e nemmeno in Nigeria e nemmeno in Mali e nemmeno nella vasta fascia del Sahel e nemmeno nel Sinai, tanto per dare esempi pratici. Questo collegamento globale, infatti, è soprattutto un collegamento politico e di propaganda ma poi dal punto di vista operativo è una faccenda locale che va risolta con strumenti politico-militari adeguati, soprattutto politici alla fine.

D. – Certo, per evitare che queste cellule terroristiche siano un serpente a cui ricresce sempre la testa, come abbiamo visto in altri Paesi, va pacificata tutta quella fascia che ha appena citato dove c’è una instabilità generalizzata…

R. – L’instabilità generalizzata è spesso frutto – e questo lo si vede bene in Somalia e Yemen - dello sfarinamento dello Stato nazionale che qualche volta è stato lasciato andare in malora nell’indifferenza più totale della comunità internazionale e qualche volta anche con un certo aiuto perché faceva comodo ad alcuni potenti attori. Se non si capisce questo si continuerà a dare a lungo la caccia a un fantasma terrorista senza però colpire la malattia che è causa del sintomo. Il terrorismo è un sintomo.








All the contents on this site are copyrighted ©.