2015-07-25 13:45:00

Turchia: continuano raid e arresti contro Is e Pkk


Questa mattina la Turchia ha lanciato una terza ondata di raid aerei contro lo Stato Islamico in Siria e il Pkk curdo in Iraq. Continuano anche gli arresti di persone sospettate di terrorismo, finora 590, come ha confermato il premier turco Davutoglu. L’Is ha accusato il governo turco di non fare nulla per l’islam e di essersi schierato a fianco dell’occidente, mentre il Pkk ha dichiarato conclusa la tregua in vigore dal 2013. Ankara, da più parti accusata di non combattere efficacemente lo Stato Islamico per evitare un rafforzamento dei curdi, ha quindi deciso di cambiare strategia. Sulle ragioni di questa scelta Michele Raviart ha intervistato Valentina Scotti, ricercatrice di Diritto Pubblico Comparato alla Luiss e studiosa di questioni turche:

R. – Bisogna fare una serie di considerazioni. La prima è di carattere internazionale ed è l’accordo sul nucleare iraniano che cambia gli assetti dell’area e quindi mette la Turchia nella condizione di dover riconsiderare una serie di alleanze, anche con una vicinanza molto più stretta all’Iran. Dall’altro lato, ci sono considerazioni di carattere nazionale. L’Is, nei cui confronti la Turchia si era sempre mostrata abbastanza indifferente, ha cominciato ad attaccare la popolazione turca. Ricordiamo i recentissimi eventi a Suruç, dove appunto 32 studenti aleviti, che pare si recassero a Kobane per portare i giocattoli ai bambini curdi, sotto l’attacco dell’Is, sono stati uccisi e questo ha emotivamente colpito il Paese.

D. – L’altro obiettivo dei raid turchi sono le basi del Pkk in Iraq. Perché i curdi sono accomunati allo Stato Islamico?

R. - Il Pkk ritiene che l’incapacità del governo turco di contenere l’Is sia una strategia mirata e, come rappresaglia, a Suruç uccide due poliziotti turchi, dichiarando la fine del cessate-il-fuoco. In tutto questo scenario, quindi, la Turchia si può permettere di guardare all’Is come effettivamente una forza nemica e decidere di scendere in campo contro il terrorismo che attacca la Turchia, creando un binomio fra l’Is e il Pkk e attaccando entrambi. Per lungo tempo Erdogan aveva evitato di essere troppo interventista nei confronti dello Stato Islamico, proprio nella consapevolezza che sul fronte, a combattere contro lo Stato Islamico, c’erano i curdi e, quindi, attaccare lo Stato Islamico avrebbe significato creare un’alleanza con i curdi.

D. – Poi cosa è cambiato?

R. - Questa scelta dei curdi di rivolgersi contro lo Stato turco, come responsabile di finanziamenti e di prestiti di armi all’Is, facilita il compito di Erdogan che crea un binomio inscindibile secondo cui sono terroristi tanto quelli dello Stato Islamico quanto quelli del Pkk, e a questo punto la guerra all’Is non è più solo una necessità per difendere lo Stato, ma diventa anche l’escamotage migliore per risolvere un problema antico, per quanto riguarda la Repubblica di Turchia.

D. – Tra le decisioni più importanti di questi giorni c’è anche la concessione di un’importante base Nato nel Sud della Turchia alla coalizione internazionale. Come cambia il ruolo della Turchia all’interno dei Paesi che già stanno combattendo contro l’Is?

R. – La Turchia concede alla coalizione guidata dagli Stati Uniti, a partire da agosto, la base di Incirlik, che è nel Sud – per la coalizione sarà più facile, quindi, attaccare il territorio siriano -; si riposiziona all’interno di quello scenario internazionale occidentale a cui ha sempre cercato di appartenere - ricordiamo che la Turchia è un membro della Nato -; e, soprattutto, si mette nella condizione di poter richiedere un intervento non più di una coalizione internazionale, ma direttamente della Nato.

D. – E’ cambiata anche la strategia della Turchia per il futuro della Siria?

R. – Decisamente la strategia sembra essere cambiata. Ancora una volta Davutoğlu ha utilizzato questa espressione: “Prima l’Is, poi Assad”. Quindi se fino agli eventi di Suruç la Turchia non si era schierata contro lo Stato Islamico, ritenendo che questo avrebbe favorito un ritorno alla stabilità del regime di Assad, adesso invece la scelta è “prima ci liberiamo dei terroristi e poi ragioniamo su quale possa essere il futuro della Siria”, un futuro che la Turchia vede certamente senza Assad.








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