2015-07-28 14:49:00

Nuove droghe, Ripamonti: dilagano con la crisi della società


Le nuove droghe, gli attuali canali di distribuzione e di consumo. Sono questi i temi al centro di un interessante articolo pubblicato oggi dal “Corriere della Sera” in cui si sottolinea anche come i vuoti generati dalla società alimentino vizi e dipendenze. Amedeo Lomonaco ne ha parlato con l’autore, il giornalista e medico Luigi Ripamonti, responsabile delle Pagine Salute del quotidiano:

R. – Le nuove droghe sono moltissime. In questi ultimi anni si è assistito ad una trasformazione del mercato. Non abbiamo più le “banali” - banali si fa per dire -  eroina, cocaina e marjuana o cannabis -  ma abbiamo oltre a queste, che tra l’altro sono molto più potenti rispetto al passato, una serie di mix di droghe sintetiche, variamente combinate e in continua trasformazione. Molti mix, molte droghe chimiche.  E quindi anche la modalità di produzione si è relativamente semplificata. Per produrre degli oppiacei, bisogna coltivare l’oppio, avere il raccolto, lavorarlo, esportarlo, spacciarlo. Queste sono cose che si possono fare in modo relativamente più facile e con una produzione più difficile da controllare e in continua trasformazione. Uno dei fenomeni più preoccupanti è che anche i medici del Pronto Soccorso ci dicono che fanno fatica a capire di cosa un ragazzo si sia fatto! Le sostanze che circolano oramai sono moltissime e mischiate in vario modo.

D. – Di fronte a queste criticità, diventano allora cruciali le risposte dell’informazione e della politica…

R. – La prima cosa che va fatta è informare e cerchiamo di farlo noi che siamo operatori dei media, ma è chiaro che l’informazione dovrebbe essere a 360 gradi, attraverso la scuola, l’educazione… E la politica – ovviamente – dovrà farsi carico di affrontare questo nuovo panorama con strumenti nuovi: le strutture di informazione, di accoglienza e di trattamento delle tossicodipendenze non possono più essere orientate all’eroinomane, cui potevamo essere abituati negli anni Settanta.

D. – Sono mutati anche molto i canali di distribuzione. Com’è cambiata negli anni, in particolare, la figura dello spacciatore?

R. – In base alle informazioni raccolte, il problema è che una volta lo spacciatore era l’“uomo nero”, non nel senso della pelle. Era una figura che, chi voleva procurarsi della droga, andava a cercare in determinati posti. Ora la circolazione di queste nuove droghe fa in modo che lo spaccio, o comunque il canale di distribuzione, possa essere molto più ramificato. E quindi è facile che il tuo compagno di banco si sia procurato della droga in qualche modo, magari da un altro e poi te la dia, come è successo recentemente a Riccione. Quel ragazzo che è morto, è deceduto perché aveva preso dell’ecstasy che gli aveva procurato il suo amico, il quale a sua volta se la sarà procurata da qualche altra parte. Ci sarà, quindi, una figura di spacciatore sicuramente all’inizio, però la droga ti può arrivare anche da qualcuno che conosci bene e che se la è procurata così, con leggerezza, da qualcun altro.

D. – Anche i consumatori sono profondamente cambiati…

R. – Prima c’era lo stigma verso l’eroinomane, anche verso il cocainomane più recentemente, che venivano identificati come figure relativamente ai margini della società. Ora chi consuma queste droghe sintetiche è una persona, un ragazzo e spesso un adulto perfettamente integrato. Quindi anche la diffusione è meno visibile, meno percepibile a livello sociale. Poi si percepisce quando accadono le tragedie, che purtroppo sono sempre più frequenti…

D. – Ed è cambiata molto anche la spinta verso le droghe: prima c’era la ricerca della trasgressione, della novità; oggi c’è altro e, soprattutto, la crisi di valori e di prospettive…

R. – Prima c’era la trasgressione, ora chi si droga non è che ce l’abbia con la società, con i carabinieri, col papà o con la mamma, con la scuola. Si droga per soddisfare un desiderio che, evidentemente, trova il suo terreno di coltura in una società in cui la frustrazione tra i giovani è sempre meno sopportabile, sempre meno ammessa. Io mi sono permesso, nel mio articolo sul Corriere della Sera di oggi, di sottolineare che c’è una differenza importante tra piacere e felicità: siamo abituati a soddisfare sempre di più i piaceri in modo immediato, perché il piacere è un oggetto. Un oggetto che può essere la droga o i soldi nel gioco d’azzardo... Questo fa perdere di vista che, forse, la felicità – ciò che si cerca veramente, che lo si sappia o meno – non ha un oggetto preciso e si consegue soprattutto – non solo, ma soprattutto – attraverso le relazioni. E le relazioni, in questo momento molto “social” - nel senso di social media - probabilmente sono anche un po’ impoverite. Questo, probabilmente, è uno degli ingredienti che porta alla diffusione di queste forme di soddisfazione relativamente facili, veloci e immediate, che creano dipendenza. Credo che la distinzione tra felicità e piacere sia un cosa importante da tenere presente nella società di oggi e in generale…








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