2015-07-29 13:15:00

Unione Africana tra sfide di democrazia e lotta a terrorismo


Nessuno deve essere Presidente a vita. Questo il messaggio di Obama che ieri ha parlato all’Assemblea dell’Unione Africana ad Addis Abeba, a conclusione del suo tour di quattro giorni in Kenya e in Etiopia. “I dirigenti africani che si rifiutano di lasciare il potere alla fine del loro mandato – ha detto il Presidente Usa - frenano il progresso democratico per tutto il continente”. Ha citato il caso del Presidente Nkurunziza in Burundi, che, a dispetto della costituzione che vieta il terzo mandato, si è imposto nelle elezioni di luglio gettando il Paese nelle proteste e nei disordini. Ma anche gli analoghi tentativi di abusi in Congo e Rwanda.  Del difficile processo di democratizzazione nel continente africano Fausta Speranza ha parlato con Aldo Pigoli, africanista dell’Università Cattolica:

R. – L’area sub-sahariana presenta diversi regimi che sono formalmente democratici, ma che poi nella sostanza non vedono realizzata una reale alternanza al potere. Abbiamo Presidenti al potere da oltre 30 in diversi Stati africani: pensiamo all’Angola, al Camerun; pensiamo anche agli Stati dell’Africa centrale e della regione dei Grandi Laghi, come l’Uganda e il Ruanda che hanno Presidenti al potere ormai da decenni come Museveni e Kagame. Di recente c’è stato lo scontro politico in Burundi, per le le forzature alla Costituzione cui abbiamo assistito e che ha citato Obama. E poi c’è il discorso di un continente africano che va visto sotto diversi punti di vista: il processo di sviluppo democratico sta avvenendo, ma avviene in maniera diversa a seconda delle aree e dei contesti. Ci sono anche casi di reale democrazia – almeno così come la intendiamo in Occidente – e penso al Botswana, penso al Ghana, penso ad altre realtà del continente africano in cui la democrazia si sta applicando e realizzando.

D. – Quale può essere la risposta dell’Unione Africana all’appello forte di Obama?

R. – Dobbiamo considerare che l’appello di Obama è sulla linea delle richieste occidentali degli ultimi decenni di maggior trasparenza, di maggior alternanza al potere e appunto di vera democrazia. La risposta dei Paesi africani al momento è varia. In molti casi si reclama un’indipendenza, un’autonomia nel valutare e nel giudicare i processi democratici del continente.

D. – Al centro del viaggio di Obama c’era l’obiettivo della lotta contro il terrorismo. L’Unione Africana sta facendo e può fare qualcosa?

R. – L’Unione Africana sta facendo e può fare diverse cose. C’è un costante tentativo di confronto e di dialogo all’interno del sistema dell’Unione Africana e all’interno delle singole realtà regionali, delle singole organizzazioni regionali, che compongono il sistema dell’Unione Africana. Le risposte sono concrete. Vediamo l’intervento delle attività di peacekeeping anche rivolto al contrasto delle organizzazioni di matrice terroristica o comunque del radicalismo islamico nel Corno d’Africa, ad esempio in Somalia. Quindi c’è una risposta concreta. E’ un processo che – come dicevo prima – gli africani rivendicano come autonomo e indipendente: ne vogliono la paternità! Vogliono chiaramente essere sostenuti da un punto di vista finanziario, da un punto di vista delle tecnologie militari e politico, ma vogliono percorrere una strada che sia indipendente e autonoma. 

Per capire l’importanza del viaggio di Obama in Africa in una fase in cui il continente sta vivendo l’espansione sempre più significativa del potere economico cinese, Fausta Speranza ha intervistato Antonello Biagini, docente di rapporti internazionali all’Università La Sapienza di Roma:

R. – Direi che gli Stati Uniti si stanno riproponendo in una posizione internazionale. L’ultima parte del mandato di Obama è tutta in questo senso, se pensiamo all’accordo con l’Iran… Dall’altro lato, questo discorso con l’Africa è estremamente importante. Devo dire che nella tradizione americana la presenza in Africa è stata sempre molto relativa. Bisogna anche dire onestamente questo: non era tra le priorità e gli interessi nazionali statunitensi, salvo situazioni di conflitto dove allora era necessario intervenire quando gli Stati Uniti si attribuivano un po’  questo ruolo di 'gendarme del mondo'. Poi questa cosa, anche per la crisi economica, è venuta via via scemando. Però ora, risolti alcuni problemi interni, come quello dell’occupazione, dell’economia, è chiaro che gli Stati Uniti tornano protagonisti, anche perché una grande potenza non può lasciare libero campo a Cina o terrorismo. Teniamo conto che poi la presenza dei cinesi in Africa è stata, anche a prescindere dalla volontà dei cinesi, un motivo di tanti conflitti perché sono arrivati lì comprando il petrolio, aggiudicandosi quasi il monopolio di alcune risorse energetiche e quindi causando disordini in zone dove i conflitti erano già presenti - e quindi non è una responsabilità diretta cinese - ma dove sicuramente questo nuovo ingresso ha determinato un accentuarsi dei conflitti preesistenti.

D. – Se l’Unione Europea lavorava per un processo di democratizzazione è arrivata la Cina che è accusata di non rispettare i diritti umani…

R. – Sì, infatti tra l’altro c’è anche questo aspetto… Certo, è importante dare un segnale forte che gli Stati Uniti sono presenti anche in quella parte del continente dove negli ultimi tempi si sono addensate anche presenze di tipo terroristico, di tipo politico fondamentalista islamico, che poi poco ha a che vedere con l’islam ma purtroppo strumentalizza quella religione. E poi c’è il grande valore dei discorsi che ha fatto sulla riaffermazione di un modello democratico che, certo, in Africa avrà bisogno di più tempo per affermarsi. In Africa non c’è la tradizione statunitense che poi nasceva dalla rivoluzione francese, da Tocqueville, insomma dal principio della divisione dei poteri … E’ una storia lunga, sono 500 anni di storia, quindi è chiaro che è difficile il processo in Paesi che sono stati colonizzati e hanno avuto l’indipendenza solo da poco tempo, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, e nemmeno completamente. E’ chiaro che è un discorso di alto profilo democratico, di istituzioni democratiche fa più fatica ad affermarsi … Il mondo, l’Europa gli Stati Uniti hanno conosciuto, hanno avuto il tempo anche della storia per poter costruire questi sistemi. In Africa questo tempo non c’è stato perché si è passati da una soggezione di Paesi stranieri a una forma di indipendenza gestita, in cui si sono riproposte o sono sopravvissute vecchie lotte anche interne di tipo tribale… Poi, c’è il problema di come sono stati fatti i confini anche se in molti Paesi dell’Africa furono tracciati geometricamente quasi sempre per interesse delle potenze europee, tipo la Siria. Furono accorpati arbitrariamente. La stessa Libia, in fondo, è il prodotto dell’unione della Cirenaica, della Tripolitania, del Fezzan. Sono situazioni e popolazioni che non erano mai state insieme e che non avevano neanche questo gran desiderio di stare insieme.








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