2015-07-30 14:30:00

Usa. Vendita tessuti fetali abortiti: appello card. O’Malley


 Continua a suscitare scalpore, negli Stati Uniti, la denuncia di una Associazione nazionale che, attraverso un video, ha svelato le pratiche abortive illegali e il commercio di parti di feti umani in uso all’interno di una catena di cliniche abortiste del Paese. Per questo, il card. Sean O’Malley, arcivescovo di Boston e presidente del Comitato per la vita della Conferenza episcopale locale, ha diffuso una dichiarazione in cui, citando Papa Francesco, spiega: “L’aborto è il prodotto di una mentalità del profitto, di una cultura dell’usa e getta che, attualmente, hanno schiavizzato i cuori e le menti di tante persone”.

Aborto: attacco diretto alla vita nella sua condizione più vulnerabile
“I recenti casi di cronaca – continua il porporato – devono richiamare la nostra attenzione su due temi di ampia portata, coinvolgendo anche le istituzioni della società”. Il primo tema è “l’aborto stesso, un attacco diretto alla vita umana nella sua condizione più vulnerabile”. Il secondo tema è “la pratica, ormai standard, di ottenere tessuti ed organi fetali tramite l’aborto”. Ed entrambe queste pratiche, ribadisce il card. O’Malley, “negano il rispetto dovuto all’umanità ed alla dignità della vita umana”. Di qui, l’auspicio che simili episodi risveglino “l’attenzione del dibattito pubblico”.

Progetto Rachele, l’aiuto della Chiesa per chi ha vissuto il trauma dell’aborto
​Infine, l’arcivescovo di Boston ricorda che tutti coloro che hanno vissuto il trauma dovuto all’aborto “possono trovare accoglienza, compassione ed assistenza grazie al “Progetto Rachele”, portato avanti dalla Chiesa cattolica”. Fondato nel 1984 nell’arcidiocesi di Milwaukee, con il tempo esso è diventato l’apostolato dei vescovi Usa per la guarigione spirituale dopo l’interruzione di gravidanza. Oggi, i “Progetti Rachele” sono attivi in più di 100 diocesi statunitensi ed in diversi Paesi del mondo. Il nome dell’iniziativa deriva dalle Sacre Scritture: “Rachele piange i suoi figli; lei rifiuta di essere consolata perché i suoi figli non sono più” (Ger 31, 15-17). (I.P.)








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