2015-08-06 10:55:00

Escalation di violenza in Burundi. Padre Marano: 120 morti in 4 mesi


Escalation di violenza in Burundi a due settimane dalla contestata ri-elezione di Pierre Nkurunziza, al terzo mandato come presidente della Repubblica. Adolphe Nshirimana, ex capo dell’intelligence e braccio destro del presidente, è stato ucciso domenica scorsa, mentre ieri è stato assassinato a Bujumbura un leader locale del parito governativo. Lunedì era stato ferito in un agguato l’attivista Pierre-Clavier Mbonimpa. Segnali preoccupanti per il piccolo Paese centrafricano, in cui sono ancora aperte le ferite della guerra civile terminata nel 2005. Giacomo Zandonini ha raccolto la testimonianza di padre Claudio Marano, appena rientrato dal Burundi dopo trent’anni di servizio missionario:

R. - Il primo attentato è stato fatto domenica mattina. Il "generale", così chiamato in Burundi, era il numero due del Paese e per lunghi anni ha diretto la polizia segreta del Burundi. Era molto amato, specialmente dalla gente, perché spesso faceva dei gesti benevoli, e allo stesso tempo molto odiato perché si trovava in mezzo a tutte le questioni tragiche del Burundi. L’attentato è avvenuto in una maniera molto strana: si parla di una camionetta di militari che hanno mitragliato quella del "generale"; volevano assolutamente ucciderlo, non c’era nessuno scampo. Questo ha suscitato un grande momento di panico in tutta la città perché il "generale" era molto conosciuto. Si diceva sempre che se  lo avessero attaccato sarebbe stata la rovina per tutto il Paese. Subito è partita l’idea di dire: “Hanno ucciso lui perché non sono riusciti ad uccidere il presidente”. La prima risposta arriva il lunedì sera quando Mbonimpa, il portabandiera dei diritti dell’uomo in Burundi, è stato ferito gravemente in un attentato. Mbonimpa è anche portavoce dell’opposizione, così questo si può leggere, nell’ambito della situazione politica in Burundi, come una prima risposta.

D. - Parliamo di Hutu, di Tutsi, di comunità che sono uscite da una guerra devastante per il Paese. Sono segnali di un possibile riaccendersi di questo conflitto?

R. - No, di un possibile aumento di questo conflitto, perché questo si è riacceso cinque mesi fa, quando il presidente aveva detto: “Io mi presento per la terza volta per la rielezione”. C’era già una tensione in atto con decine di morti – si parla di oltre 120 morti in un periodo di quattro mesi –,  con centinaia di feriti, con centinaia di arresti e con oltre 160 mila profughi che erano già scappati. Le persone normali, quelle che hanno già vissuto la guerra fino al 2005, vorrebbero che la guerra non ricominciasse.

D. - Il Burundi è un piccolo Paese, eppure ha un ruolo piuttosto importante in una zona dove ci sono diversi conflitti. Ci sono anche, secondo lei, pressioni di altri Paesi? C’è un gioco più grande?

R. – Anche il Rwanda ha un presidente che sta lottando per il terzo mandato; il Congo ha un presidente che sta lottando per il terzo mandato; l’Uganda si trova nella stessa situazione. Quindi c'è una pressione enorme sul Burundi perché non scoppi tutto, altrimenti saltano anche i loro giochi. Una pressione enorme anche da parte dell’Onu e da parte dell’Unione Africana, che in seguito all’uccisione del "generale" ha subito rimesso in marcia una serie di incontri per riuscire a trovare delle soluzioni per il Paese, perché si trova in una situazione molto critica, non solamente a livello politico, ma anche a livello economico.








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