2015-08-07 14:00:00

Camerun minacciato dai Boko Haram. Incognita su riapertura scuole


Strade deserte, paura dilagante, assembramenti evitati. È la situazione che si vive nell’Estremo Nord del Camerun, regione da almeno due anni attaccata dagli estremisti islamici di Boko Haram, che sempre più frequentemente sconfinano dalla vicina Nigeria. Nelle ultime settimane, non sono stati solo i villaggi frontalieri ad essere presi di mira ma anche gli agglomerati più grandi. A fine luglio, due attentati kamikaze hanno colpito un mercato e un bar di Maroua, capoluogo della regione. Una quarantina le vittime solo il mese scorso. Sulla situazione nella zona ascoltiamo fratel Fabio Mussi, missionario laico del Pime, coordinatore della Caritas della diocesi di Yagoua, raggiunto telefonicamente a Maroua da Giada Aquilino:

R. – La città si sta attualmente riprendendo dopo gli attentati che ci sono stati 10 giorni fa, però c’è tanta paura diffusa a tutti i livelli e c’è anche una diminuzione delle normali attività a seguito di questi attentati. Sono state infatti ridotte alcune ‘iniziative popolari’, come la vendita al dettaglio degli ambulanti. E’ stato anche chiesto a tutti i genitori e alle famiglie di evitare che i loro ragazzi girino per il mercato senza uno scopo preciso. Tutti hanno paura. Comunque, con queste misure di prevenzione proposte e volute dalle autorità c’è sicuramente più controllo: i mezzi pubblici, ad esempio, sono tutti monitorati e i tempi di viaggio sono più lunghi.

D. – Ci sono anche testimonianze di genitori che hanno dubbi se mandare i loro figli a lezione il prossimo anno scolastico, proprio per paura di attacchi dei Boko Haram…

R. – Qui a Maroua non credo che ci saranno questi problemi. Ci saranno un po’ più al nord, verso la zona di Fotokol, dove siamo presenti come Caritas. Attualmente ci sono circa 140 scuole chiuse lungo la zona di frontiera e non si sa bene se verranno riaperte in occasione del prossimo anno scolastico. E questo proprio perché la situazione non è migliorata: purtroppo è peggiorata, dal punto di vista della sicurezza.

D. – Al momento queste scuole sono chiuse per motivi di sicurezza o perché c’è la paura estiva?

R. – Adesso ci sono le vacanze estive, ma le scuole sono state chiuse per tutto l’anno scolastico 2014-2015. E anche nell’anno scolastico 2015-2016 non è sicuro che vengano riaperte. In molti di questi plessi è stato detto agli stessi genitori di mandare i ragazzi in altre scuole, che sono situate a una trentina di chilometri al di là della frontiera, dove c’è meno pericolo.

D. – Perché i Boko Haram hanno colpito e colpiscono anche le scuole?

R. – Per l’ideologia che hanno sin dall’inizio: loro sono contro le scuole, perché ritengono che deturpino l’idea iniziale dell’Islam, di un Islam puro, di un Islam che si basa sulla Sharia. Quindi soprattutto le scuole che aprono gli orizzonti e le menti dei ragazzi sono considerate qualcosa di pericoloso.

D. – Lei ha detto: siamo presenti a Fotokol. Vi occupate di sfollati provenienti dalle zone frontaliere, ma anche della Nigeria?

R. – Sì, io ero a Fotokol 15 giorni fa, con i nostri operatori della Caritas e abbiamo notato che il numero dei rifugiati nigeriani sta diminuendo, nel senso l’Unhcr si sta occupando di questi sfollati e li sta trasportando più a sud, per poi farli rientrare in Nigeria. C’è invece un numero ancora molte elevato di sfollati camerunensi.

D. – Tra queste persone, quali sono le emergenze? Ci sono particolari pericoli sanitari in questo periodo?

R. – C’è una emergenza di base che è di tipo alimentare: ci sono persone e famiglie che si sono allontanate da casa in situazioni tragiche, senza poter portare un granché come riserve alimentari. Sono accampate in tende o addirittura in capanne di erba. E non hanno più da mangiare. Il secondo elemento grave è quello della sanità, soprattutto per i bambini, per le donne incinte e per le persone anziane e malate. Abbiamo creato un centro sanitario mobile a Fotokol, che cura tra i 700 e i 1.000 nuovi casi al mese. Poi c’è un problema abbastanza grosso, che riguarda una fascia ancora più delicata: i bambini malnutriti e denutriti gravi. Noi, con i nostri mezzi, possiamo solo curarne 300 alla volta, ma il numero è molto più elevato.

D. – Come prosegue nella zona il programma di assistenza portato avanti dalla Fondazione Pime Onlus, che vi affianca da tempo?

R. – E’ più o meno la base sulla quale possiamo trovare delle risorse per gestire circa 10mila profughi e sfollati. Se non avessimo quest’aiuto della Fondazione Pime, sarebbe veramente molto difficile poter andare avanti.








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