2015-08-07 12:36:00

Sud Sudan: riprendono negoziati, appello delle Chiese cristiane


Riprendono oggi in Etiopia i negoziati per la pace in Sud Sudan, Paese nato nel 2011 e da 19 mesi afflitto da una violenta guerra civile. In vista delle trattative, il Consiglio delle Chiese locali ha lanciato un appello ai leader politici del Paese affinché mettano da parte le armi e trovino un accordo. Il conflitto in corso è solo di natura interetnica o è motivato anche da altre questioni come la gestione delle risorse naturali? Roberta Barbi lo ha chiesto a Enrico Casale, redattore della rivista “Africa” dei Padri Bianchi:

R. – La base è certamente una base etnica, nel senso che i due contendenti - il presidente, Salva Kiir, e il suo vice, Riek Machar - appartengono a etnie diverse: Salva Kiir è Dinka; Riek Machar è Nuer. Sono tensioni che affondano nella storia del Sud Sudan e che erano già emerse durante la guerra contro Khartoum. Questo è il detonatore che ha fatto esplodere una situazione già particolarmente delicata per la gestione delle risorse naturali: in questo momento soprattutto la gestione delle risorse petrolifere, ma direi anche, in futuro, possibili tensioni per la gestione delle acque.

D. – Come vive la popolazione? Le Ong parlano di oltre due milioni di persone costrette a lasciare le loro case, oltre a migliaia di vittime…

R. – La situazione è particolarmente drammatica: l’ultimo rapporto di Human Rights Watch parla di violenze inaudite sulla popolazione civile, presa tra i due fuochi dei contendenti. So da testimonianze dirette del campo di Maban, nel quale operano i gesuiti del Jesuit Refugee Service, che la popolazione è stremata, in una situazione veramente tragica perché fugge dalle case senza nulla e si rifugia in questi campi senza alcuna speranza. In quel campo in particolare, i gesuiti stanno lavorando con i bambini, ma anche con la popolazione soprattutto sul profilo psicosociale, perché sono persone che, avendo perso tutto, hanno anche dei forti problemi di carattere psicosociale.

D. – Sono ripresi oggi i negoziati in Etiopia: che speranze ci sono?

R. – È difficile dirlo… Teniamo presente anche che questo conflitto s’inserisce in una regione più ampia, nella quale ci sono anche le potenze regionali, ad esempio Etiopia e Uganda sostengono il governo di Juba. Questo conflitto va risolto anche a livello regionale.

D. – La Chiesa si è detta disponibile a mediare un ulteriore processo di riconciliazione nazionale….

R. – Il Consiglio delle Chiese si è espresso per una pacificazione, quindi per la firma di un accordo ad Addis Abeba, e si è detto disponibile a provare a mediare tra le parti in modo tale da riuscire a raggiungere una pace onorevole tra i due contendenti, ma soprattutto un’equa redistribuzione delle risorse che, possibilmente, vada a favore di tutta la popolazione, indipendentemente dall’etnia.

D. – Anche il presidente Obama, nella sua recente visita in Kenya ed Etiopia, ha indicato al Sud Sudan la data del 17 agosto - ormai prossimo - come termine ultimo per trovare un accordo e mettere fine alla guerra civile…

R. – Questi ultimatum lasciano sempre un po’ il tempo che trovano. Certamente bisogna trovare delle forme di pressione forti sui contendenti in modo tale che, nel momento in cui questa deadline non venga rispettata, si possa incidere profondamente sulla realtà sudsudanese. Si potrebbe pensare, per esempio, a delle sanzioni, ma a delle sanzioni mirate sulla classe dirigente che è restia a fare la pace.








All the contents on this site are copyrighted ©.