2015-08-08 14:45:00

L'arcivescovo di Accra: la povertà dilaga, colpiti soprattutto i giovani


Per riflettere sul Vangelo, sulla santità della vita, sulla purezza del matrimonio, così come sulla dignità della sessualità umana, la Conferenza episcopale del Ghana ha organizzato ad Accra un convegno dal titolo “Promuovere i valori della vita e della famiglia di fronte all’attuale cultura della morte”. Ad accompagnare la conferenza anche una marcia in favore della vita e della famiglia che oggi percorre le vie principali della città. Quali le sfide, per la Chiesa soprattutto? Festus Tarawalie lo ha chiesto all’arcivescovo di Accra, mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle:

R. – La sfida principale è la povertà che sta dilagando dappertutto. Povertà economica, povertà finanziaria, che sta portando anche verso una povertà culturale, spirituale, una povertà nelle scelte politiche, purtroppo anche a causa della pressione dei donatori internazionali e dei vari gruppi sociali del mondo. Dobbiamo dire che, per ora, anche se questo è un Paese molto, molto ricco e molto dotato da Dio nelle risorse minerali, nelle risorse umane, nelle risorse spirituali e anche religiose, purtroppo per il malgoverno si vede la crescita della povertà, della miseria, soprattutto dei giovani. Queste sono alcune delle sfide che dobbiamo affrontare.

D. – Come Chiesa locale come intendete affrontare questi problemi?

R. – Abbiamo già cominciato a studiare la situazione per cercare di vedere quale sia il ruolo e il compito della Chiesa, in particolare il compito profetico della Chiesa, il compito di educare le persone alla vita, il compito di aiutarle a prendere la propria vita nelle proprie mani. Questo convegno riunisce insieme tutte le componenti della Chiesa e della società: i giovani, i laici, i rappresentanti delle leadership politiche e delle leadership religiose, e ci permette di vedere come potremo, in sinergia, far fronte a questa cultura della morte. Veramente l’africano è portato alla cultura della vita e dobbiamo aiutare l’africano a vivere questa cultura della vita.

D. – Recentemente il Secam, che riunisce le Chiese del continente, ha proclamato l’”Anno africano della riconciliazione”. Quali sono le ragioni?

R. – Il Papa emerito Benedetto XVI, nell’“Africae Munus”, cogliendo gli indizi e le opinioni dei diversi vescovi e padri africani, durante il Sinodo sull’Africa del 2009, aveva inserito questa sua esortazione: la proposta di indire un anno giubilare della riconciliazione nel continente africano. E nel 2013, quando ci siamo incontrati alla XVI Assemblea Plenaria del Secam, a Kinshasa, abbiamo deciso di cominciare la celebrazione il 29 luglio di quest’anno, e si concluderà il 29 luglio dell’anno prossimo. Questo è l’“Anno giubilare della riconciliazione continentale”. E’ stata decisa proprio la data del 29 luglio perché è la Giornata del Secam: nacque il 29 luglio del 1969 a Kampala ed abbiamo dichiarato per tutto il continente che il 29 luglio è la Giornata del Secam. Per questo l’abbiamo inaugurato in questa giornata. Abbiamo chiesto, nelle indicazioni date, ai seminari di organizzare degli incontri, dei convegni e degli studi a livello delle Conferenze episcopali nazionali per vedere quali siano stati, in quel Paese, gli indizi per una non riconciliazione fra la gente. Quindi, all’interno di ogni diocesi e di ogni nazione, la leadership della Chiesa deve cercare di capire quali siano state le origini del peccato, della divisione, della disunità, cercando la strada per arrivare alla riconciliazione in Cristo. La celebrazione di questo anno giubilare è un anno di preghiera per chiedere a Dio che ci aiuti ad essere riconciliati gli uni con gli altri, tra i vari gruppi etnici, le varie tribù e tra le varie nazioni, laddove vi siano dei problemi, e quindi a livello continentale.

D. – Quali conflitti, a suo parere, necessitano una profonda riconciliazione, a quali il Secam vuole dare particolare attenzione?

R. – Abbiamo veramente bisogno di cercare la riconciliazione tra i gruppi etnici. Purtroppo lo abbiamo visto in Rwanda, lo vediamo oggi in Burundi e lo vediamo anche in altri Paesi, in cui magari non ci sono state guerre civili ma dove c’è questo attrito tra i vari gruppi etnici. Dobbiamo cercare di trovare la soluzione a questo. Purtroppo anche gli uomini politici, molte volte, sono fautori di conflitti tra i vari gruppi etnici. Questo accade quando un gruppo etnico comincia ad assumere un politico potere contro gli altri. 








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