2015-08-11 13:15:00

Burundi, appello dell'Onu per pacificazione


Appello delle Nazioni Unite alle autorità del Burundi, affinché riprendano il dialogo con le opposizioni. Il Paese è precipitato in un vortice di violenza da quando, lo scorso aprile, il presidente Nkurunziza si è presentato alle elezioni e ha poi ottenuto il suo terzo mandato a luglio, nonostante il divieto costituzionale.Il Consiglio di sicurezza dell'Onu sostiene la proposta del segretario generale, Ban Ki-moon, di inviare un mediatore a Bujumbura. Sulla possibilità di un accordo, Elvira Ragosta ha intervistato Massimo Alberizzi, corrispondente storico del Corriere della sera e direttore della rivista on line "Africa-express.info":

R. – Sembra abbastanza difficile e complicato. Pierre Nkurunziza è molto forte, avendo foraggiato moltissimi generali. Lui ha dato l’annuncio della sua ricandidatura ad aprile e da allora ci sono state pressioni fortissime dell’Onu, dell’Unione Europea e dell’Unione Africana. Quando Obama è venuto a Nairobi ha persino bacchettato tutti quelli che volevano stare al potere più di due mandati, facendo un chiarissimo riferimento – anche se non l’ha nominato – a Nkurunziza.

D. – Prima della terza rielezione che Nkurunziza ha ottenuto con il 70% dei consensi, ci aveva provato anche la comunità dell’Africa orientale, a inizio luglio, a pacificare la crisi. Il problema del Burundi è un problema che si estende alla regione: anche i presidenti di Uganda, Rwanda e Congo cercano una rielezione. Può essere questo il nodo del problema?

R. – Sì, sicuramente anche questo. Paul Kagame, presidente rwandese, sta cercando di modificare la Costituzione per rimanere al potere. Joseph Kabila, presidente del Congo, non vuole lasciare il potere. E Museveni ce l’ha da 20 anni e forse anche di più. Ma dietro a questi presidenti c’è una folla di generali, amministratori pubblici, politici corrotti, i quali vogliono continuare con la loro corruzione per poter diventare ricchi, sempre più ricchi, mentre la popolazione diventa sempre più povera e sempre più povera.

D. – A proposito della popolazione, sono almeno un centinaio le persone uccise nel corso delle rivolte iniziate ad aprile. L’Onu ha denunciato anche casi di torture da parte della polizia. La situazione sembra fuori controllo, cosa succede sul terreno?

R. – Sul terreno le manifestazioni vengono represse violentemente. Nkurunziza è forte, molto forte, però lui è hutu e non tutti gli hutu sono dietro di lui. Preoccupano, se vogliamo, forse di più dal punto di vista politico, gli omicidi mirati, come quello dell’ex capo dei Servizi segreti, che è stato ammazzato. C’è stato poi un tentativo di ammazzare l’arcivescovo Ngoyagoye, che si è salvato, ma sono state uccise le sue guardie del corpo. Sono stati uccisi anche degli attivisti dei diritti civili, dei capi dell’opposizione. Poi ci sono ovviamente durante le manifestazioni morti di civili, che protestano. Non c’è però, per fortuna, ancora un omicidio di massa. Forse il mediatore dell’Onu vuole evitare anche questo: che si arrivi a un bagno di sangue generalizzato, il che riporterebbe il Paese ovviamente nel caos in tutta la regione. Il Rwanda è molto diverso dal Congo: in Rwanda c’è una sorta di dittatura che però sta facendo crescere il Paese, e dal punto di vista economico c’è una ridistribuzione delle risorse economiche. Il Congo invece è in mano a una cleptocrazia e forse è il Paese più corrotto – assieme alla Nigeria – di tutta l’Africa. Ora, il Burundi non è ricco come il Congo e ci sono, per esempio, meno appetiti da parte delle multinazionali, che normalmente sostengono i dittatori, dai quali possono avere concessioni minerarie abbastanza facilmente.








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