2015-08-12 13:56:00

Libia: si cerca un accordo mentre Al Thani potrebbe dimettersi


Il primo ministro libico, Mohammed Al-Thani, rappresentante del governo legittimo di Tobruk ha annunciato le proprie dimissioni in diretta tv, rispondendo così a chi criticava la mancanza di sicurezza nel Paese nordafricano. La decisione è stata poi smentita dal portavoce del premier, ma sottolinea il momento di incertezza che sta vivendo la Libia, divisa tra due governi e molti gruppi armati, alcuni riconducibili al cosiddetto Stato islamico. Michele Raviart ne ha parlato con Riccardo Redaelli, docente di Geopolitica all'Università Cattolica di Milano:

R. – La situazione in Libia è molto confusa. Esistono, in questo momento, due governi: uno è quello di Tobruk, riconosciuto dalla comunità internazionale perché è il governo che esce dalle nuove elezioni – elezioni che hanno visto una sconfitta dei partiti islamisti che hanno rifiutato di riconoscere il nuovo parlamento e il nuovo governo e hanno richiamato il vecchio parlamento. Il governo legittimo ha dovuto abbandonare Tripoli per questioni di insicurezza e si è insediato a Tobruk. Ma in realtà, non è neppure esatto direi che esistono due governi e due parlamenti che controllano il Paese, perché di fatto nessuno, in questo momento, controlla la Libia.

D. – Intanto oggi, a Ginevra, c’è il secondo giorno degli ulteriori colloqui sotto l’egida Onu per un governo di unità nazionale. Lo scorso mese c’era stato un accordo al quale non ha partecipato il governo di Tripoli, che questa volta parteciperà. Quali sono le posizioni di Tripoli e che cosa è legittimo aspettarsi da questo round di negoziati?

R. – Che in realtà non vi sono grandi differenze ideologiche sul governo di unità nazionale. L’Onu, con lo spagnolo Bernardino León, tenta ormai da un anno di mettere assieme le varie postazioni e gruppi libici, soprattutto per controbattere i jihadisti, la presenza sia di al Qaeda sia dello Stato Islamico, che è crescente. Vi sono però ostilità personali e lotte per il potere personale, ostilità tribali… Tripoli ha sempre partecipato ai negoziati: si era arrivati molto vicini a un accordo, poi anche per differenze interne si è andati a una rottura con i mediatori. Oggi si tenta di ricucire, dopo un accordo che coinvolge, al momento, le potenti milizie di Misurata, considerate più vicine agli islamisti, e il governo di Tobruk. Ma un’unità nazionale senza il governo di Tripoli è veramente solo un accordo di facciata, che non riuscirebbe a risolvere la questione.

D. – Abbiamo parlato della presenza di gruppi estremisti e soprattutto del sedicente Stato islamico: qual è la situazione dopo che l'Is aveva anche perso la città di Derna, che era anche la sua roccaforte?

R. – L’adesione ad al Qaeda allo Stato islamico avviene soprattutto da parte di milizie locali, di combattenti che spesso si muovono per interessi personali. A differenza dell’Iraq o della Siria, qui la popolazione è poca ma soprattutto vi è ancora una banca centrale molto ricca che dispensa e distribuisce rendite finanziarie un po’ a tutti, che da un lato evita il collasso definitivo e l’anarchia definitiva del sistema, ma dall’altro facilita i tatticismi. Lo jihadismo è una minaccia per tutti i gruppi libici, che non si mettono d’accordo perché preferiscono ancora il tatticismo estremo, la demonizzazione dell’altro, piuttosto che un compromesso politico che favorisca una lotta contro lo jihadismo.

D. – Qualora si riuscisse a trovare un accordo, e questo riuscisse a entrare in vigore a settembre, quali sarebbero poi i passi ulteriori per ricostruire questo Stato libico?

R. – Dubito che a settembre vi sia l’implementazione vera di questo accordo. Se anche si arriverà a questo accordo che coinvolga Tripoli, si rischia di avere un accordo solo di facciata, perché poi bisogna mettersi d’accordo soprattutto sui nomi. Finché non vi sarà un accordo che gratifichi le ambizioni dei singoli, non vi sarà un accordo. Dovesse esserci questo accordo, bisognerà lavorare con la comunità internazionale per far ripartire la ricostruzione da un lato, che è fondamentale; e dall’altro, una lotta più serrata contro i jihadisti.








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