2015-08-12 14:45:00

Nuovi sbarchi, Caritas Agrigento: il pericolo è l'indifferenza


Oltre 200 migranti sono sbarcati oggi a Pozzallo, in provincia di Ragusa, mentre 417 persone sono giunte a Reggio Calabria, tra loro decine di minori e tre donne in stato di gravidanza. I profughi proverrebbero da Eritrea, Sudan, Siria e Etiopia. In prima linea nell’aiuto ci sono le varie Caritas diocesane, tra le quali quella di Agrigento, impegnata dal primo luglio nel progetto “Yes we host - Un rifugiato a casa mia”, grazie al sostegno di Caritas Germania. Al modello di accoglienza dei grandi centri per rifugiati, si offre l’alternativa di una accoglienza micro-diffusa: sono le famiglie della diocesi ad accogliere per 5-10 mesi richiedenti asilo e rifugiati già passati attraverso i circuiti Caritas o Sprar. A Valerio Landri, direttore di Caritas Agrigento, Francesca Sabatinelli ha chiesto quale sia il significato di questo progetto:

R. – Innanzitutto, quello di offrire un’accoglienza familiare a un rifugiato che, anziché trovarsi all’interno di una struttura con altre decine di persone, si trova in una dimensione familiare che ha perduto partendo dal proprio Paese. Il secondo obiettivo è quello di coinvolgere le famiglie della nostra Chiesa in un percorso di accoglienza reale. Terzo, quello di fare in modo che la presenza del migrante all’interno della famiglia abbia una ricaduta pastorale per la comunità parrocchiale e la comunità diocesana.

D. – Che risposta c’è stata da parte delle famiglie?

R. – Laddove il progetto è già partito negli anni precedenti ha avuto buone risposte. Quindi, si sono trovate le famiglie, anche se con grandi difficoltà, perché chiaramente accogliere una persona all’interno di una dimensione domestica non è certamente facile, richiede coraggio. Per quanto ci riguarda, in questi due mesi abbiamo già iniziato a incontrare delle famiglie che si sono dette interessate al progetto. Il mese di agosto ci servirà per definire le famiglie da coinvolgere, per individuare e definire meglio il target dei rifugiati da coinvolgere nel progetto, che è aperto a tutti.

D. – Che cosa significa accogliere le persone che arrivano dal mare? Il compito della Caritas come si esprime?

R. – Il compito della Caritas in questo contesto, un contesto di frontiera, è un compito di supporto alle istituzioni, ma è soprattutto molto concentrato sull’attività di integrazione. In generale, l’accoglienza del migrante è istituzionalizzata, anche se in particolar modo lo è nei luoghi di frontiera. Quindi, se ne occupa il governo attraverso anche le comunità, gli enti, che sono convenzionati per l’accoglienza. La Caritas di Agrigento, per sua scelta, non ha alcuna convenzione, quindi non si occupa di accoglienza, né a Lampedusa né sul territorio diocesano, ma grazie alla presenza di altre realtà che svolgono questo compito, la Caritas di Agrigento, attraverso la sua Fondazione ‘Mondo Altro’, si occupa di tutte le attività di integrazione. Accogliere, infatti, significa non solamente dare un posto dove dormire e qualcosa da mangiare, ma serve soprattutto ad accompagnare il migrante in quel percorso di inserimento sociale che effettivamente gli consente di ricominciare una nuova vita in Italia. Le soddisfazioni stanno nel vedere pian piano riattivarsi il migrante, che arriva con un carico di esperienze negative, con dei traumi da risolvere. Riuscire a seguirli nelle attività di alfabetizzazione, riuscire a seguire i bambini con la ludoteca multietnica o seguire le attività interculturali con i giovani migranti ci consente di vedere come con il passare del tempo queste persone, acquisendo competenze linguistiche, riuscendo a trovare un lavoro, si riattivano e ricominciano a prendere in mano la propria vita. Questo, per noi, evidentemente è fonte di grandissima soddisfazione.

D. – In un clima politico e sociale come quello che ormai si vive da mesi in Italia e non solo, Kos ne è un esempio, quanto è difficile lavorare per voi?

R. – La situazione non è semplice. Il tutto è anche aggravato da una crisi economica che ormai ha ridotto davvero in ginocchio la popolazione italiana. C’è una situazione di tensione sociale molto forte, che è incrementata dalla consapevolezza ormai chiara che mancano delle politiche di lungo termine, di lungo periodo, che possano aiutare a risolvere le problematiche locali. Da qui, si evidenzia anche la speculazione sul mondo dell’immigrazione. Son d’accordo quando si denunciano le speculazioni in riferimento ai migranti, perché oggettivamente ci sono, ma che la Chiesa non faccia nulla chiaramente non è da sostenere, perché non è così, perché le comunità – noi ne siamo una dimostrazione nel nostro piccolo – sono attive. Se i migranti riescono a essere accolti nelle nostre comunità è grazie al fatto che le Chiese, attraverso i cristiani, ma attraverso anche le istituzioni ecclesiali, sono attive e sono disposte ad avviare dei percorsi di accoglienza concreti anche senza, come stiamo facendo noi per esempio, avere nessun ritorno economico.

D. – Proprio a causa di questa crisi, di queste difficoltà, avete notato un sottrarsi da parte degli appartenenti alla vostra comunità, o la presenza è sempre la stessa?

R. – Sinceramente, gli ultimi tempi hanno registrato un aumento di insofferenza anche da parte di chi appartiene alla Chiesa. Le paure cominciano a crescere, anche i mezzi di comunicazione stanno facendo una fortissima campagna del terrore. Si sta generando quindi nella comunità, anche nei cristiani, anche ad Agrigento, una tendenza quantomeno alla insofferenza, chiamiamola così, che soprattutto nasce dalla paura del futuro. Ci si pongono domande: cosa sarà domani? Dove stiamo arrivando? Sono davvero così tanti i migranti che vogliono arrivare sul nostro territorio? Con quali intenzioni? Tutto questo rende molto difficile il nostro lavoro.

D. – Come cercate di ovviare a questo?

R. – Chiedendo ai migranti che frequentano i nostri centri di aiutarci con le loro testimonianze, con gli incontri. Proviamo un po’ a chiedere loro le motivazioni delle migrazioni, a raccontarci il loro percorso, a capire come loro vedono le migrazioni. E oggettivamente ci rendiamo conto che questo livello di incontro aiuta a comprendere le ragioni, aiuta anche ad un’empatia che serve per costruire relazioni significative.








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