2015-08-14 13:30:00

Usa-Cuba: dopo 50 anni riapre l'ambasciata americana all'Avana


Dopo mezzo secolo di inimicizia Stati Uniti e Cuba riallacciano oggi ufficialmente i rapporti diplomatici. Stamani all’Avana la bandiera a stelle e strisce verrà nuovamente issata sull'ambasciata americana. Alla cerimonia sarà presente il segretario di Stato Usa, John Kerry. Un riavvicinamento, quello tra l’Isola caraibica e Washington, fortemente caldeggiato da Papa Francesco. Il servizio di Giancarlo La Vella:

Oltre 50 anni caratterizzati da tentativi di golpe, un duro embargo e una crisi, quella dei missili, che rischiò di trascinare il mondo in una guerra nucleare. Tutto questo da oggi sarà storia e Washington e l’Avana possono guardare ad un futuro di relazioni nuove, certamente non semplici, da rimettere in piedi attentamente. Tante le questioni in ballo: la situazione economico-commerciale dell’isola dopo tanti anni di difficoltà, la questione degli esuli e del rispetto dei diritti umani. Decisivo il ruolo, in questo riavvicinamento, di Papa Francesco che ha fortemente voluto la conclusione positiva del dialogo tra i due Paesi. Oggi, all’alzabandiera nell’ambasciata americana, sarà presente il segretario di Stato Usa, Kerry, primo diplomatico di Washington a tornare a Cuba dopo 70 anni e, nota emozionante, i tre marines che nel gennaio 1961 ammainarono la bandiera a stelle e strisce, quando furono rotte le relazioni diplomatiche, la isseranno nuovamente assieme a Kerry. Il leader cubano Fidel Castro, in occasione del suo 89.mo compleanno, in un articolo ha scritto: “Gli Stati Uniti sono debitori nei confronti di Cuba di indennizzi per molti milioni di dollari a causa dei danni  provocati dalla politica delle sanzioni contro l’Avana”.

Ma su quali basi potranno ripartire i rapporti tra Stati Uniti e Cuba? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Mario Del Pero, americanista docente di Relazioni Internazionali all’Istituto Studi Politici di Parigi:

R. – Quello che si è aperto, in una certa misura, è un processo irreversibile. E’ chiaro che 50 anni e più di reciproca e assoluta ostilità lasciano oggi un retaggio pesante di diffidenza, di antagonismo, forse anche culturale, prima ancora che politico. Ci vorrà molto tempo per superarlo. Lo si farà, credo, anzitutto, agganciando sempre più Cuba all’economia americana, facendo sì che gli Stati Uniti, o gli investitori statunitensi, possano contribuire allo sviluppo economico, in primis attraverso il turismo.

D. – Un altro dei temi caldi è quello degli esuli cubani e della gestione del dissenso all’interno dell’isola caraibica, uno dei punti su cui gli Stati Uniti e i Paesi occidentali cercano di premere su L’Avana…

R. -  Cuba, credo, abbia poche scelte, se non quella di procedere ad una graduale liberalizzazione politica. Tempi, modi e forme sono tutti da vedere. E’ chiaro che si chiederà a L’Avana gesti simbolicamente rilevanti, che in parte sono già stati compiuti. La questione dei cubani che vivono in Florida è una situazione che è andata modificandosi radicalmente negli ultimi anni. La prima generazione di emigrati, infatti, ferocemente anticastristi, sta uscendo progressivamente di scena. La generazione più giovane sostiene l’apertura e ha un atteggiamento meno intransigente verso il regime. Crede che attraverso questa apertura si possa procedere all’auspicata liberalizzazione del regime.

D. – L’apertura a Cuba vuol dire anche un miglioramento dei rapporti tra Washington e il resto dell’America Latina…

R. – Io credo che il processo vada letto primariamente in questa chiave. L’amministrazione Obama – gli Stati Uniti – si sono trovati sempre più isolati rispetto alla questione cubana. La rigidità di Washington nuoceva alla propria posizione nel panorama latino-americano e metteva in difficoltà le relazioni americane degli Stati Uniti. Aprire a Cuba serve anche per riportare gli Stati Uniti al centro della scena nella regione, ovvero a riallacciare rapporti con alcuni Paesi - il Brasile, anzitutto – e per evitare che gli Stati Uniti si trovino isolati nelle Americhe.








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