2015-08-23 14:46:00

Siria. Il parroco di Aleppo chiede aiuto: siamo senza acqua


In Siria, si aggrava il bilancio degli attacchi aerei del regime intorno a Damasco, dove si contano 34 vittime tra i civili, compresi 12 bambini e 8 donne. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, tra le vittime dei raid ci sono due intere famiglie, sepolte dalle macerie delle loro case. Difficile la situazione anche ad Aleppo, dove si registra un’emergenza dovuta alla mancanza di acqua, come testimonia in quest’intervista di Luca Collodi al meeting di Rimini, padre Ibrahim Alsabagh, parroco della comunità latina di Aleppo:

R. – Adesso, acqua, acqua, acqua! Il problema dell’acqua è molto difficile. I gruppi di milizie hanno chiuso le pompe dell’acqua nella città dove abitiamo e quindi soffriamo la sete, tutta la popolazione è sotto la minaccia di questa sete. Cerchiamo di aprire i nostri pozzi e cerchiamo di distribuirla, abbiamo lasciato tutto per concentrarci sulla distribuzione dell’acqua. Non sappiamo come finirà questa situazione ma, come si può immaginare, è un bisogno, una necessità enorme, una grande difficoltà, specialmente durante l’estate. Poi, c’è bisogno di cibo, di medicine, di assistenza dal punto di vista umano, non solo spirituale.

D. – C’è un rischio sanitario ad Aleppo?

R. – Sicuramente. All’inizio della crisi tanti bravi medici che erano in prima linea sono scappati dal Paese e tanti ospedali e cliniche private si trovano senza medicine e c’è tanta carenza di questi elementi essenziali.

D. – Voi avete un’idea di chi possano essere questi terroristi?

R. – Sappiamo che vengono da un’ottantina di Paesi, la maggioranza viene dal di fuori della Siria. Vengono per avidità di denaro o come mercenari o anche con l’idea del fondamentalismo puro e vengono a seminare la morte. Quello che possiamo cogliere di quello che stanno facendo è che non pensano di rimanere, perché uno che brucia tutto attorno non pensa a un futuro, non pensa di avere una famiglia lì. Chi distrugge le scuole e anche gli ospedali e le chiese, le moschee, sicuramente non pensa di continuare a vivere lì.

D. – Sono rimasti i cristiani ad Aleppo in Siria?

R. – Sì, sono rimasti. Noi abbiamo decine di migliaia di cristiani che sono rimasti in questa parte della città controllata dall’esercito regolare, o perché non hanno i soldi per scappare fuori, o perché credono che in questo momento c’è una grande missione per loro di testimoniare con questa difficoltà, con questa crisi, la loro fede.

D.  – Che cosa fa lei come parroco?

R. – Ultimamente, dall’inizio della crisi, la Chiesa è tornata un po’ a coprire tantissimi uffici di tipo anche umano. Andiamo verso i bisogni umanitari prima di tutto. Dal mattino alla sera, mi trovo a lavorare nell’associazione della nostra Caritas parrocchiale. E poi anche ci occupiamo sicuramente della cosa essenziale, quella spirituale. Ma oggi la Chiesa è tornata ad occupare uno spazio enorme. Non possiamo coprire tutti i bisogni che lo Stato deve coprire, ma cerchiamo oggi – proprio perché siamo l’unico punto di riferimento della nostra gente – di coprire tante cose anche dal punto di vista della società.

D. – Ci sono segnali di speranza perché la situazione possa normalizzarsi?

R. – I segnali di speranza non li vediamo all’esterno. Cerchiamo di vederli dentro il cuore, con questa speranza noi viviamo.

D.  – Cosa volete dire ai cristiani in Occidente?

R. – Voglio chiedere a loro di vivere la loro fede nella profondità, nella radicalità la loro vocazione cristiana. La nostra gente vive veramente con profondità e radicalità questo cammino di purificazione che ha fatto forse il buon ladrone: è una purificazione attraverso la sofferenza che apre il cuore e gli occhi. Quindi, forse quello che auguro e che chiedo ai cristiani di tutto il mondo è proprio di accogliere la nostra esperienza, viverla in modo spirituale nella comunione con noi e cercare di aprire il cuore a questa presenza sofferente di Gesù che soffre oggi nel suo corpo mistico in Siria.








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