2015-08-26 14:33:00

Attesa per firma accordo in Sud Sudan: pressione Onu


Ultimatum dell'Onu al Sud Sudan: il Consiglio di sicurezza fa sapere che "agirà immediatamente" se il presidente Salva Kiir non siglerà l'intesa oggi come previsto. L'accordo è stato raggiunto dopo 20 mesi di guerra civile nel Paese, tra le due fazioni del partito di governo, l’Splm (Movimento di Liberazione del Popolo Sudanese), rispettivamente guidate dal presidente Salva Kiir e dall’ex vice-presidente Riek Machar. Il 17 agosto scorso, ad Addis Abeba, il leader sud sudanese si è rifiutato di firmare l'intesa, chiedendo altri 15 giorni. Ma quali sono i motivi di preoccupazione per una pacificazione che continua ad essere molto difficile? Fausta Speranza lo ha chiesto a Aldo Pigoli, docente di Storia dell’Africa contemporanea all’Università Cattolica:

R. – Il conflitto che è in corso dal dicembre 2013 nel Sud Sudan sembra giunto a una fase importante, nel momento in cui verrà – se verrà siglato – l’accordo di pace. Questo sicuramente è un momento importante. Dovrebbe porre fine a un lungo periodo di conflittualità, anche molto alta, tra le due parti, ossia il governo e la fazione ribelle che però fa capo a quello che era il vicepresidente del Paese, Riek Machar, quando il Paese è diventato indipendente nell’estate del 2011. L’accordo è un momento importante e fondamentale anche perché fa vedere i risultati della diplomazia regionale e internazionale nel porre fine alla conflittualità. Il punto interrogativo è quanto potrà durare questo accordo, perché bisogna tenere in considerazione che la contesa, i motivi di conflitto non sono terminati. La firma dell’accordo comunque lascia un punto interrogativo molto forte, su quale sarà il futuro del Paese.

D. – Ricordiamo questi motivi del contendere?

R. – Sicuramente. Alla base c’è il contrasto tra le due figure di punta del Splm del partito al potere, cioè il presidente Kiir e l’ex vicepresidente Machar, e i loro sostenitori. E’ bene evidenziare che non si tratta di un conflitto meramente di natura etnica tra i due principali gruppi etnici dei Paesi – i dinka e i nuer – ma di una contesa politico-istituzionale che poi ha a che fare, fondamentalmente, con la capacità del governo e di chi tiene le istituzioni di gestire le “revenues” petrolifere che sono l’asset più importante del Paese. Il Sud Sudan – dobbiamo ricordarlo – è un Paese estremamente povero, che manca di infrastrutture economiche e che si basa fondamentalmente sulla gestione delle rendite provenienti, appunto, dalla vendita del petrolio.

D. – A livello sociale, come si rispecchia questo conflitto tra parti politiche?

R. – E’ uno dei punti interrogativi, cioè una volta che si giungerà all’accordo di pace e a una stabilizzazione anche di breve periodo del Paese, bisognerà poi rispondere alle domande fondamentali: questo Paese ha milioni di abitanti che vivono sotto la soglia di povertà, mancano i servizi di base fondamentali e quindi se non si risponderà a questi bisogni fondamentali della popolazione, il rischio è che sorgano nuovi conflitti. Anche perché diverse parti che fino a oggi hanno partecipato al conflitto non sono d’accordo con la firma degli accordi di pace ed è probabile che nei prossimi mesi possano sorgere nuovi conflitti.








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