2015-08-28 14:02:00

S&V: bene Strasburgo, gli embrioni sono soggetti non oggetti


La sperimentazione sugli embrioni non può essere fatta perché l’embrione è un soggetto, non un oggetto. Così Paola Ricci Sindoni, presidente dell’associazione Pro-life Scienza e Vita, commenta la decisione di ieri della Corte di Strasburgo. Il caso è quello di una donna che avendo perso il marito ha deciso di donare per la sperimentazione gli embrioni congelati ottenuti con la fecondazione artificiale, fatto questo vietato dalla legge italiana. La donna è ricorsa ai giudici europei invocando la violazione di un suo diritto personale. Sulla decisione della Corte Europea dei diritti dell’uomo, Massimiliano Menichetti ha intervistato la stessa Ricci Sindoni:

R. – Prima di tutto, è utile precisare che la sentenza della Corte europea non esprime giudizi di valore, cioè non entra in merito allo statuto della persona, quale è l’embrione. E l’embrione è un cardine di tutta la Legge 40 che nell’Art. 13 vieta la ricerca. Là i giudici europei lavorano più su questioni di tipo procedurali, ma certamente questa sentenza è un segnale importante che mi auguro possa segnare anche un punto di svolta nei pronunciamenti sia di Strasburgo, sia della Consulta.

D. – Alla Consulta italiana rimane un margine di discrezionalità, quindi le cose potrebbero essere decise in maniera diversa…

R. – L’auspicio è che finalmente non solo la Corte di Strasburgo, ma anche gli organi che devono ora pronunciarsi sulla legittimità o meno di un tale divieto rispetto alla nostra Carta costituzionale, abbiano un motivo di riflessione in più, sappiano decidere – come si dice – "in scienza e coscienza e non si finisca in quella deriva nichilista che invece hanno il compito di distruggere.

D. – Alcuni parlano di una debolezza della sentenza della Corte di Strasburgo, perché i giudici sono stati sollecitati sull’Art. 8 della Convenzione europea che parla di tutela della vita privata dei singoli e non del diritto del bambino. Come a dire: “E' una mia scelta poter disporre dell’embrione”…

R. – La donna ha pensato di consultare la Corte di Strasburgo perché si è sentita lesa nei suoi diritti dal momento che supponeva che quegli embrioni fossero di sua proprietà e che quindi poteva gestirli secondo le sue intenzioni e quindi anche darli alla ricerca… Ora, ciò che va letto tra le righe della sentenza è che non si è padroni degli embrioni. Quindi, non viene violato il diritto umano della signora a poter gestire autonomamente gli embrioni. La sentenza arriva fino a qui, ma si potrebbe andare avanti e dire il perché, ovvero perché l’embrione non è proprietà della donna.

D. – Perché è un soggetto…

R. – Perché è un soggetto! Perché non è qualcosa, ma è qualcuno. La sentenza arriva fino a un certo punto perché non può andare avanti, però si può tranquillamente proseguire nel ragionamento in coerenza con la forma e la struttura della sentenza.

D. – La vita, dal suo concepimento fino al termine naturale è un "continuum" che non si interrompe mai. Perché c’è così grande difficoltà a vedere l’uomo nelle prime fasi del suo concepimento?

R. – Perché si sono imposti dei modelli culturali, sorretti da alcuni bioeticisti che hanno avuto largo spazio nell’opinione pubblica, nei mass media – penso a Peter Singer, a Engelhardt – secondo cui si può parlare di persona o di autonomia di un soggetto solo quando questo è capace di operare delle scelte, essere ragionevole, capace di esprimersi. Secondo Engelhardt così come non è persona l’embrione, non è persona neanche il malato di Alzheimer che non risponde subito agli stimoli, così come anche tutta la grande fascia dei malati mentali. Questo perché l’ideale è quello della persona capace e cosciente che fa le sue scelte. Quindi, non solo la vita nelle sue prime fasi, ma anche tutto ciò che mostra una fragilità esistenziale può arrivare a non essere vita, non persona, e così si afferma anche il principio dell’eutanasia.








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