2015-08-29 08:03:00

Iraq e Siria sotto attacco dell'Is. Timori per le armi chimiche


Il sedicente Stato islamico potrebbe aver usato armi chimiche in Siria, oltre che in Iraq. L’utilizzo del cosiddetto gas mostarda, secondo il quotidiano britannico “The Guardian”, sarebbe avvenuto la settimana scorsa nei pressi di Aleppo. Intanto nelle aree del califfato proseguono le violenze e i combattimenti, anche nelle ultime 24 ore si registrano centinaia di morti tra Siria e Iraq. Il Servizio di Marco Guerra: 

In Siria è sotto assedio la base aerea lealista di Abu al-Duhu, l’ultima roccaforte lealista nella provincia di Idlib. Secondo l’Osservatorio Siriano, sedici soldati dell'esercito regolare e 18 ribelli sono già morti nell’offensiva lanciata dal Fronte al-Nusra, braccio locale di al-Qaeda. L’agenzia ufficiale Sana  riferisce poi di 100 "terroristi" uccisi in raid aerei nella provincia di meridionale di Daraa. Intanto foto satellitari confermano la distruzione dell'antichissimo tempio di Baal Shamin a Palmira. Non va meglio in Iraq: a Ramadi sessanta militari sono morti in due esplosioni. L’esercito iracheno è ancora impegnato in una vasta operazione per liberare la città dalle milizie dell’Is. Sei morti per un’esplosione anche a Baghdad, dove ieri migliaia di persone hanno manifestato contro la corruzione e per chiedere riforme. E mentre nelle aree controllate dal califfato continuano le persecuzioni contro i cristiani, si allunga anche l’ombra dell’uso di armi chimiche da parte di miliziani dell’Is, come confermano fonti mediche che hanno denunciato sintomi su pazienti compatibili con l’esposizione a un agente chimico.

Francesca Sabatinelli ha raccolto il parere del chimico Matteo Guidotti, dell’Istituto di scienze e tecnologie molecolari del Cnr di Milano:

R. – Sicuramente queste indicazioni possono risultare essere un indizio più che una prova, si è dimostrato anche in passato, proprio in Siria, con le operazioni dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, l’Opac, con sede all’Aja. L’unica prova provata, e dimostrata, dell’utilizzo o meno di quali agenti tossici possono essere stati utilizzati è con campionamenti ‘in situ’, ossia nelle zone degli eventuali attacchi, bombardamenti o utilizzi, laddove, dal punto di vista chimico, rimangono impronte digitali, molecole, che vengono utilizzate, e che possono essere individuabili, ma dopo analisi non assolutamente poco semplici, poco veloci e che richiedono più settimane per essere confermate o smentite, e quindi per poter dire che sono stati utilizzati questi agenti, o questi altri agenti, oppure non è stato ritrovato nulla.

D. – Quante volte gli allarmi lanciati sull’utilizzo delle armi chimiche sono stati poi comprovati nella storia degli ultimi decenni?

R. – Si deve fare un principale distinguo dal punto di vista dell’utilizzo deliberato tra eserciti di Stati sovrani, per esempio il caso della guerra Iran-Iraq degli anni ’80, e l’uso terroristico dove spesso, anche in piccoli laboratori clandestini, relativamente artigianali, di piccola scala, c’è la possibilità di produrre piccole quantità per utilizzi in ambienti chiusi, come è stato per la metropolitana di Tokyo  (1995 attentato con il sarin che uccise 12 persone e ne intossicò oltre seimila ndr). Fatto questo distinguo, sicuramente il grosso utilizzo, dopo la seconda guerra mondiale, c’è stato negli anni 80 nella guerra, come si diceva prima, Iran-Iraq, mentre nelle due guerre del Golfo, dal punto di vista delle prove sperimentali, tecniche, seguite sul campo, circa l’utilizzo di armi chimiche ancora sussistono forti dubbi. Anche di fronte a eventuali patologie, come la sindrome dei militari che hanno partecipato alle operazioni nel Golfo, il rapporto causa-effetto con agenti chimici altamente tossici non permessi, quindi banditi a livello internazionale, sussistono ancora delle perplessità.

D. – Quanto sterminio viene fatto con l’arma chimica, rispetto alle centinaia di migliaia di morti ai quali stiamo assistendo negli ultimi anni?

R. – Dalla prima guerra mondiale ad oggi già il nome ‘arma chimica’ o ‘agenti chimici tossici’ produce sconforto e paura. In realtà, guardando dati che si sono accumulati dalla prima guerra mondiale, considerando anche gli studi durante la guerra fredda, soprattutto eseguiti egli anni ‘60-‘70 in Germania orientale, nella ex Ddr, l’efficacia e l’utilità dal punto di vista bellico e tattico di queste armi è relativamente limitata rispetto alle armi convenzionali, alle granate, all’esplosivo convenzionale che, purtroppo, tutti i giorni dell’anno, in tutto il mondo, viene utilizzato. Perché in realtà ci sono metodi relativamente efficaci di protezione, ammesso e non concesso di averli a disposizione, discorso diverso assolutamente è quando questi armamenti vengono impiegati contro la popolazione inerme, nel caso terroristico, o quando non ci si  aspetta un attacco di questo tipo, a questo punto la letalità può essere maggiore. Ma spesso, dal punto di vista percentuale, non è così drammatica, si parla di percentuali quali il 5-10% di letalità, spesso paragonabile a quella degli armamenti del tutto convenzionali.

D. – Non si vuole sottovalutare la drammaticità o la gravità dell’utilizzo di armi chimiche, per le quali esistono convenzioni che le mettono al bando, è certo però che si dovrebbe evitarne anche l’utilizzo verbale come propaganda. C’è il rischio, a suo giudizio, che l’arma chimica venga usata come propaganda politica?

R. – Quello purtroppo sì. Un po’ per l’impatto psicologico che sull’opinione pubblica ha la parola ‘arma chimica’. Teniamo inoltre presente che l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche ha riscosso ormai la firma di quasi tutti gli Stati, ma non di tutti, mancano ancora, in modo particolare nell’area del Medio Oriente, Israele e Egitto, che non sono ancora firmatari, la stessa Siria fino ad un paio di anni fa non lo era, in questo caso non si deve obbligatoriamente sottostare a queste regolamentazioni a livello di diritto internazionale. Questo non vuole assolutamente giustificare la tragicità di questi eventi, stiamo sempre parlando di atti di guerra in cui c’è gente che muore, però spesso può diventare il casus belli, la motivazione per cui promuovere ed incoraggiare o spostare l’opinione pubblica verso un atteggiamento di intervento, spesso anche di forza, militare, in alcune aree dove comunque un conflitto già esiste, che provoca e ha provocato molti morti, e dove una situazione di tragicità e grande difficoltà è, o era, già presente. 








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