2015-09-03 14:00:00

Guatemala: si dimette il presidente, indagato per corruzione


Si è dimesso nella mattinata di oggi il presidente del Guatemala Otto Pérez Molina, in carica dal 2012. Nei giorni scorsi il Parlamento, facendo seguito a proteste popolari durate quasi cinque mesi, aveva revocato l'immunità per la più alta carica del Paese centramericano. Un tribunale guatemalteco ha dunque emesso ieri un mandato di arresto nei confronti del presidente, accusato di far parte di un'estesa organizzazione criminale che traeva profitti da frodi sulle tasse doganali. Le mobilitazioni, alle quali ha partecipato anche la Chiesa del Paese, avevano già portato, nelle ultime settimane, all’arresto della vicepresidente e alle dimissioni di ben sei ministri del governo. La notizia arriva a pochissimi giorni dalle elezioni generali che, domenica 6 settembre, porteranno i cittadini alle urne per rinnovare il Parlamento e scegliere un nuovo presidente. Una situazione sempre più delicata, come spiega Alfredo Luis Somoza, direttore dell’Istituto di Cooperazione Economica Internazionale, al microfono di Giacomo Zandonini:

R. – Le proteste in Guatemala riflettono una grande delusione: la delusione che hanno avuto i cittadini quando nel 2011 hanno eletto un ex militare, Otto Pérez Molina, dimenticando il ruolo che quest’ultimo aveva avuto durante il conflitto che aveva insanguinato il Paese negli anni ‘80-‘90. Questo militare è stato eletto con la promessa di fare un “repulisti” della corruzione, uno dei mali endemici di questo Paese, aggravatosi negli ultimi anni, da quando il Guatemala è diventato un Paese di passaggio delle rotte del narcotraffico e anche molto più violento, a causa delle bande giovanili che ormai si scontrano direttamente con lo Stato. Le promesse del presidente non sono state mantenute e, al contempo, sono venute fuori accuse molto pesanti nei suoi confronti su casi circostanziati di corruzione: un sistema di corruzione, che non solo non era stato eliminato, ma del quale aveva usufruito lo stesso presidente.

D. – È recentissima la revoca dell’immunità al presidente da parte del parlamento: che conseguenze potrebbe avere sul futuro del Paese?

R. – Questa era la principale richiesta dei cittadini che hanno manifestato in questi mesi: la revoca dell’immunità parlamentare - come è successo appunto stanotte (la scorsa notte, ndr) - tra l’altro con 135 voti favorevoli: quindi con 20 voti al di sopra della maggioranza richiesta. I cittadini chiedevano anche che venissero posticipate le elezioni presidenziali previste per domenica 6. Questi ultimi, infatti, ritengono che non ci sia stata una vera e propria campagna elettorale, dato che la piazza in questi mesi si era mobilitata sulla vicenda della corruzione del presidente. Le conseguenze sicuramente non riguardano tanto il presente - essendo lo stesso a fine mandato - ma di sicuro il tema che con forza è stato posto: cioè il fatto che in Guatemala non ci sia più spazio per la corruzione. La prima dichiarazione a caldo l’ha fatta un simbolo del Guatemala, Rigoberta Menchú, indigena vincitrice del Premio Nobel per la Pace: “È stata una vittoria storica, perché per la prima volta il parlamento deve ascoltare ciò che succede al di fuori delle proprie mura”. Il dato politico è che, per la prima volta, grazie ai cittadini, una causa legata alla corruzione viene in qualche modo vinta.

D. – Accanto alla corruzione, va detto che una grande fetta del Paese vive in una situazione di estrema povertà… Queste persone hanno una voce secondo lei?

R. – Queste persone in Guatemala sono gli indigeni. Il Guatemala è uno dei Paesi con la più alta percentuale di popolazione indigena – circa il 50 per cento dei guatemaltechi sono discendenti dei Maya – storicamente sfruttati e anche massacrati: durante gli anni della guerra civile ci furono più di 30-40.000 morti, soprattutto indigeni. Questa parte della popolazione certamente ha più voce rispetto al passato, ma è ancora totalmente estranea alla politica. La povertà in Guatemala è un male endemico, soprattutto nel mondo rurale, e questo governo non aveva fatto nulla per farla diminuire.

D. – Tornando alle elezioni: non c’è il rischio che oggi prevalga una soluzione populista rispetto a favorire chi rappresenta veramente le battaglie contro la corruzione e la povertà?

R. – Questo è un rischio che, purtroppo, non corre soltanto il Guatemala. Certamente la concomitanza, a distanza di pochi giorni, tra un’elezione e una decisione così importante, di un parlamento che decide di far processare il presidente della Repubblica ancora in carica, sicuramente ha un’influenza: nel senso che la campagna elettorale di questi ultimi giorni si sposterà sulle grandi promesse che faranno tutti i candidati riguardo alla lotta alla corruzione. E quindi si mescoleranno un po’ le acque: tra quelli che onestamente ci hanno sempre pensato, e quelli che invece lo diranno all’ultimo momento. Questi rischi sono insiti in un Paese che è in una situazione di povertà; perché il voto dei cittadini - quanto questo sia consapevole - è anche legato a quanto la persona abbia potuto studiare o abbia accesso all’informazione.








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