2015-09-04 14:06:00

Burundi. P. Marano: unico futuro è che Hutu e Tutsi vivano insieme


In Burundi “c’è soltanto una strada: quella di mettersi insieme, di vivere insieme”: questo l’appello del padre saveriano Claudio Marano, missionario per 30 anni nel Paese, alla guida del Centro giovanile Kamenge che assiste circa 45mila ragazzi. Intanto, continua a salire il livello di violenza nella capitale Bujumbura, dove almeno altre 4 persone sono state uccise nel corso di sparatorie, avvenute durante le ultime due nottate. Gli scontri si sono verificati nei quartieri di Nyakabiga, Cibitoke, Musaga, dove le proteste contro il terzo mandato del presidente Pierre Nkurunziza, eletto lo scorso 21 luglio, sono state più forti da quando aveva annunciato la sua candidatura nel mese di aprile. Maria Caterina Bombarda ha intervistato padre Claudio Marano che ha spiegato il motivo delle tensioni nel Paese: 

R. – Quello che resta sempre un punto interrogativo per il Burundi è il fatto di non riuscire a mettere la politica sulla strada della democrazia; ma chi va al potere si porta dietro tutto il Paese. Il fatto che, oggi, ci sia un governo con i ministri già eletti nel Paese ed un altro fuori, questo porta il Paese a una situazione di degrado impossibile. Ogni sera ci sono spari, morti, e la mattina questi quartieri sono completamente circondati dalla polizia che passa di casa in casa a controllare e a vedere se trova le armi, e - guarda caso ! - non le trova mai.

D. – Qual è la situazione oggi del Centro Giovani Kamenge?

R. – Il fatto che non continui tutto come prima è un problema legato alla situazione politica attuale. Il problema per il Centro è quello di riuscire a sopravvivere in mezzo ai quartieri. Il metodo del Centro è uno: “Lavora per riuscire a far comprendere a tutti che è bello vivere insieme, nonostante le differenze”.

D. – Parlando di Tutsi e Hutu: l’alternanza al potere tra queste due etnie si rifà agli accordi di Arusha del 2000. Tuttavia, questa è una visione che sembra rifiutata dalla maggioranza della popolazione, vero?

R. – Non è la popolazione che la rifiuta, ma è la gente che è al potere. Nonostante tutto, non si capisce pienamente perché in ogni partito politico ci debbano essere i Tutsi e gli Hutu nella stessa quantità. Ad Arusha una serie di cose è stata messa in ordine. Nonostante tutto questo, però, non si riesce a vivere insieme, perché quello che prima era il problema tra Tutsi e Hutu, oggi è diventato il problema del partito al potere contro tutta l’opposizione.

D. – Ma secondo lei queste manifestazioni popolari sono spontaneamente nate dal basso o in qualche modo sono veicolate?

R. – Anche le manifestazioni non sono popolari: tutto è guidato in Burundi. C’è il partito che è al governo che ha le milizie e le paga e poi c’è l’opposizione che paga i giovani per manifestare. I giovani e la popolazione accettano questa situazione, perché non hanno lavoro, non hanno soldi: lo fanno per non morire di fame. E fanno un calcolo molto semplice: morire di fame oggi o essere fucilati è la stessa cosa.

D. – Secondo lei, qual è la strada possibile per uscire da questo impasse?

R. – C’è soltanto una strada: quella di mettersi insieme, di vivere insieme. Ai giovani ho sempre detto: “Non dovete essere la fotocopia dei vostri genitori, voi dovete essere un’erba nuova!” L’unica soluzione per il Burundi è questa: che Tutsi e Hutu vivano insieme, che gente di diverse religioni, partito politico o estrazione sociale vivano insieme.

D. – Questo è l’appello che lei fa ai giovani e alla comunità internazionale?

R. – Che la storia non insegna assolutamente niente! Che non si deve aiutare il Paese soltanto per quanto riguarda lo sviluppo, ma bisogna aiutarlo a crescere psicologicamente e moralmente… Solo così può funzionare. Non si può soltanto dare da mangiare o curare, perché poi una guerra può distruggere di nuovo tutto. 








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