No alla depenalizzazione dei reati di vilipendio pubblico alla religione e di pornografa: è quanto chiedono, in una dichiarazione, i vescovi di Malta e Gozo, mons. Charles Scicluna e mons. Mario Grech. I due presuli, infatti, hanno presentato recentemente al primo ministro maltese, Joseph Muscat, un memorandum elaborato da un gruppo di esperti, creato appositamente dalla Chiesa locale, per valutare alcuni emendamenti inseriti recentemente nel Codice di diritto penale.
Vilipendere non è semplicemente criticare
Riguardo al reato di vilipendio pubblico della religione, gli emendamenti prevedono
l’annullamento delle sanzioni per le gravi offese contro la religione cattolica (art.
163) ed ogni altro culto permesso dalla legge (art. 164). Tali sanzioni, secondo il
legislatore, si possono cancellare perché sono una ripetizione di quanto già previsto
dal Codice penale (art. 82) per i reati a sfondo religioso ed altre forme di odio.
Ma la Chiesa maltese non è affatto d’accordo: “Vilipendere la religione è un qualcosa
di totalmente diverso dal criticare, ridicolizzare, censurare, denigrare o odiare:
vilipendere significa ‘rendere vile’ e ciò che la legge vieta è il disprezzo dannoso
ed abusivo delle religione, dei suoi rappresentanti e dei suoi seguaci”.
Tutelare la religione, valore fondamentale sancito dalla Costituzione
Non solo: i vescovi di Malta e Gozo invitano a riflettere sul primo capitolo della
Costituzione nazionale che stabilisce “sei valori civili fondamentali e paritari”
per il Paese: “la repubblica come forma di governo, la religione, la bandiera, l’inno,
la lingua e la costituzione stessa”. Se, dunque – sottolineano i presuli – “la religione
è alla pari degli altri cinque valori fondamentali, non si può fare una scelta tra
loro stabilendo che cinque vanno trattati con rispetto e permettendo, invece, che
il sesto possa essere vilipeso”. Di qui, l’appello a non cancellare gli articoli 163
e 164 del Codice penale, invitando anche ad imporre le medesime sanzioni agli atti
di vilipendio ogni religione, non solo cattolica, perché “il vilipendio religioso
è incompatibile con una società dignitosa”.
Depenalizzare pornografia non significa tutelare libertà di espressione
Riguardo, invece, alla depenalizzazione della pornografia – che permetterà, fatti
salvi i minori ed i regolamenti statali, l’esposizione di materiale pornografico nei
luoghi pubblici con accesso a pagamento, nelle gallerie d’arte, nei programmi televisivi,
nei film ed ogni volta che tale materiale risulti avere un interesse scientifico e
letterario – i presuli sottolineano che non si può motivare tale decisione con “una
migliore attuazione della libertà di espressione”: i sexy shop, ad esempio, “non hanno
nulla a che vedere con la libertà di espressione o con il diritto di ricevere e distribuire
informazioni”, perché fanno “semplicemente parte dell’industria e del mercato del
sesso”. E tutto questo, incalzano mons. Scicluna e mons. Grech, non è compatibile
con quanto stabilito dalla Costituzione “sulla morale ed la pubblica decenza”, “fondamentali”
per il Paese.
No alla mercificazione del corpo umano
Al contrario, “la mercificazione del corpo umano è sempre un danno alla dignità della
persona, anche quando essa si verifica con il consenso dell’altro – si legge nel documento
– Il sesso e la sessualità sono molto di più di una gratificazione e di un piacere:
sono il dono di sé all’altro, l’invito ad un rapporto interpersonale”. La depenalizzazione
della pornografia, quindi – concludono i presuli - finisce per promuovere non la libertà
di espressione, bensì “l’industria dello sfruttamento, veicolando il messaggio che
i soldi ed il profitto contano più della persona umana”. (A cura di Isabella
Piro)
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