2015-09-05 12:13:00

Germania e Austria aprono frontiere a profughi. Cei: ora altri Paesi


Vienna e Berlino hanno aperto le frontiere ai profughi che in migliaia stanno lasciando l’Ungheria a piedi o a bordo di pullman per giungere in Germania e Austria. Le autorità tedesche stimano di accogliere oggi fino a 10mila migranti, in gran parte siriani. Non si placa, intanto, lo scontro politico, con Budapest che accusa l'Unione Europea e la Germania per il caos che si sta verificando in Ungheria. La polizia austriaca riferisce che al confine gli autobus vengono fermati da parte ungherese e i profughi devono attraversare la frontiera a piedi, nonostante la disponibilità austriaca a farli arrivare direttamente ai treni o ai campi di accoglienza.

Da parte sua, la cancelliera tedesca, Angela Merkel, ha detto che “il diritto fondamentale all'asilo politico non prevede una limitazione del numero di richiedenti asilo": come "Paese forte ed economicamente in salute abbiamo la forza di fare ciò che è necessario". Tuttavia ha precisato che i migranti che non hanno una concreta possibilità di ricevere il permesso per rimanere – non essendo riconosciuti come profughi - dovranno tornare nei loro Paesi. Nel frattempo, anche il Regno Unito assicura accoglienza per 4mila rifugiati siriani.

Sull’importante decisione di Austria e Germania di aprire le frontiere, ascoltiamo il commento di mons. Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes della Cei, al microfono di Fausta Speranza:

R. - È certamente un segnale molto importante che va verso la direzione del superamento degli accordi di Dublino e nella direzione - soprattutto - della libera circolazione nel contesto europeo dei richiedenti asilo e rifugiati, quindi un segnale molto positivo di un’Europa che non ha perso la solidarietà. Certo è un segnale che dovrebbe essere rafforzato da parte di tutti i Paesi europei e soprattutto da parte dei Paesi dell’Est Europa che in questo momento sembrano essere quelli più restii ad un discorso di apertura e di attenzione a un riconoscimento del diritto d’asilo in maniera più allargata. Speriamo che nei prossimi giorni, soprattutto nell’incontro del 14 settembre prossimo in Europa, anche sulla base di quella proposta del presidente del Consiglio d’Europa Juncker, di allargare a 160mila almeno l’accoglienza in Europa delle richieste d’asilo e suddividerle nei diversi Paesi, si dia ancora una volta un segnale di un’Europa che non ha dimenticato la solidarietà.

D. - Solidarietà …può esserci un contagio?

R. - Può e deve essere un contagio, anche perché soltanto la solidarietà salva l’Europa, nata abbattendo i muri, favorendo la libera circolazione di merci e di persone. Non si vorrebbe che questa si fermasse in questa costruzione di se stessa, proprio in un momento in cui questa libera circolazione e questa apertura interessa soprattutto chi è in fuga dalla guerra, dai disastri ambientali e da persecuzioni politiche e religiose.

D. - Però finché si tratta di solidarietà espressa singolarmente dai vari Paesi ancora non si costruisce una risposta vera europea. E così le istituzioni sono chiamate a programmare interventi per esempio di ricollocamento o comunque interventi su scala sovranazionale… è vero?

R. – Certamente un impegno nazionale ci deve essere; ci deve essere un‘organizzazione da parte di tutti gli Stati europei di un piano nazionale asilo di prima accoglienza e di seconda accoglienza ma questo programma nazionale deve certamente entrare in un’unica programmazione di un asilo europeo che non può fermarsi agli accordi di Dublino 3.








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