2015-09-06 09:30:00

Brasile: il "Grido degli esclusi" contro le disuguaglianze


Poveri, detenuti, anziani: a loro si rivolge la 21.ma edizione della manifestazione brasiliana “Il grido degli esclusi”, in programma il 7 settembre di ogni anno, in concomitanza con la Festa nazionale dell’Indipendenza. Nata per testimoniare le disuguaglianze della società nel Paese, l’evento ha l’appoggio della Conferenza episcopale brasiliana e del Consiglio delle Chiese cristiane del Brasile. Il servizio di Michele Raviart:

La musica e le parole dell’inno del 21.mo “Grido degli esclusi” annunciano il motto di questa edizione: “Che Paese è questo che uccide la gente, in cui i mass media mentono, e che ci consuma?”. Un interrogativo rivolto alla società brasiliana, giudicata elitaria e poco sensibile ai destini degli ultimi, siano essi tossicodipendenti, vittime delle violenze o operai senza diritti. Sotto accusa anche il ruolo dei media, come spiega Ari Alberti, coordinatore dell’evento, intervistato da Bianca Fraccalvieri:

R. - Questo grido è per la società brasiliana ed è rivolto anche alle autorità. Noi vogliamo dire che la nostra realtà non è facile, ma è un po’diversa da quello che guardiamo ogni giorno nel sensazionalismo dei media. C’ è un tentativo di spostare l’attenzione dai problemi veri del Brasile e noi ne vogliamo discutere in questa edizione del “Grido degli esculsi”.

D. - Quali sono questi “problemi reali” e perché i media non ne parlano?

R. - I media devono essere un servizio pubblico, come prevede la Costituzione. In Brasile otto o nove grandi gruppi famigliari possiedono tutto quello che si sente, si guarda e si legge in questo Paese. I mezzi di comunicazione di una nazione non possono essere nelle mani degli interessi politici e famigliari di pochi gruppi  famigliari. I media devono rispetatre il pluralismo e le concessioni devono essere più trasparenti

D. - Un’altra grande questione per voi è quello della rappresentazione della violenza nei media brasiliani...

R. - Il nostro è un Paese dove si uccide più che se ci fosse una guerra. Abbiamo circa 50 mila omicidi ogni anno. Poi abbiamo le carceri piene, siamo il terzo o il quarto Paese al mondo per numero di detenuti e le strutture brasiliane sono qualcosa di cui avere paura. In questo contesto i media puntano solo al sensazionalismo, enfatizzando i casi di omicidio in cui sono coinvolti giovani e adolescenti. Così passa l’idea che con il carcere per i minori di 18 anni si risolverà il problema della violenza. E si sposta così il punto della questione.








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