2015-09-23 15:00:00

Kerry: ruolo determinante di Francesco su grandi temi internazionali


In occasione della visita di Papa Francesco negli Stati Uniti, appena iniziata, la Radio Vaticana in collaborazione con “La Stampa” ha intervistato in esclusiva il segretario di Stato americano, John F. Kerry. Nell’intervista di Paolo Mastrolilli, il responsabile della politica estera statunitense si sofferma sul ruolo del Pontefice dal riavvicinamento tra Washington e Cuba, all’impegno per l’ambiente, all’accoglienza dei profughi:

R. - Io sono profondamente soddisfatto per come le priorità di politica estera degli Stati Uniti e i buoni uffici della Santa Sede si intersechino su molti temi. Sono grato per il ruolo di Sua Santità nel ristabilimento delle relazioni con Cuba. E’ stato determinante ad incoraggiare i colloqui che hanno portato al riavvicinamento fra Usa e Cuba, e continueremo a cercare il suo sostegno mentre procediamo con la nostra relazione bilaterale. Noi proseguiremo la collaborazione con la Santa Sede per affrontare l’attuale crisi dei rifugiati e quelle future, l’instabilità data dai cambiamenti climatici, lavoreremo in campi come il dialogo interreligioso, favorire lo sviluppo, promuovere i diritti umani, prevenire il traffico di esseri umani.

D.- Nel Mediterraneo c’è una grave crisi per le migrazioni. Ritiene che Europa e Usa debbano fare di più per accogliere i rifugiati?

R. - Noi siamo profondamente rammaricati per la tragica perdita di vite umane nel Mediterraneo. La pratica dei contrabbandieri e trafficanti di “impacchettare” persone vulnerabili dentro imbarcazioni pericolose è deplorevole. Questa è un’area di continua cooperazione e dialogo fra gli Usa, la Santa Sede, e altri nella regione. Le migrazioni e l’immigrazione sono al cuore delle nostre priorità comuni in termini di diritti umani e benessere collettivo delle popolazioni più vulnerabili ed emarginate del mondo. La crisi delle migrazioni in Europa richiederà la cooperazione con tutti i Paesi del continente, insieme al resto della comunità internazionale, per garantire che le persone siano sicure, vengano trattate con umanità condivisa, e che affrontiamo la fonte del problema, cioè l’attuale crisi in Siria. Noi comprendiamo le enormi sfide che gli Stati europei fronteggiano, e accogliamo con favore gli sforzi continui per cercare una risposta comprensiva e coordinata. Qualunque approccio alla crisi deve essere focalizzato a salvare e proteggere le vite, assicurare che i diritti umani di tutti i migranti e rifugiati siano rispettati, e promuovere politiche di migrazione ordinate e umane. Gli Stati Uniti hanno fornito oltre 4,1 miliardi di dollari in assistenza umanitaria dall’inizio della crisi siriana - più di ogni altro singolo donatore - per aiutare ad affrontare le terribili condizioni in cui si trovano 7,6 milioni di sfollati all’interno della Siria, e oltre 4 milioni di rifugiati nella regione, in particolare in Libano, Turchia, Giordania, Iraq ed Egitto. Abbiamo anche creato un gruppo di lavoro per coordinare le risposte del Dipartimento di Stato alla crisi europea delle migrazioni e i rifugiati, e per garantire che saremo preparati per qualunque crisi simile in altre parti del mondo. Aumentando il sostegno all’assistenza umanitaria e alla protezione in Siria e nei Paesi vicini, meno rifugiati decideranno di muoversi, e saranno capaci di tornare a casa più facilmente quando il conflitto finirà. Gli Stati Uniti hanno deciso di aumentare significativamente il numero dei rifugiati siriani che accetteranno il prossimo anno. Ci aspettiamo di accoglierne almeno 10 mila nel 2016. Accogliere più rifugiati siriani negli Usa è solo parte della soluzione, ma io credo che questa decisione politica sia coerente con la nostra responsabilità morale di fare di più.

D.-  Molti rifugiati, come lei ha notato, vengono dalla Siria. Può l’attuale strategia di raid aerei e addestramento degli oppositori raggiungere l’obiettivo di sconfiggere l’Is, e dare a Damasco un governo migliore, evitando il rischio di un confronto militare con la Russia che sta mandando aiuti bellici ad Assad?

R. - La guerra in Siria è una crisi di sicurezza ed umanitaria. Noi lavoriamo strettamente con una coalizione di oltre 60 partner per raggiungere il nostro obiettivo comune di degradare e infine sconfiggere l’Is, e mettere fine al conflitto attraverso una transizione politica in Siria che la allontani dal Presidente Assad. La brutalità del regime - che la Russia sostiene - ha alimentato la crescita dell’estremismo. Ciò è contrario allo stesso obiettivo dichiarato da Mosca per una maggiore azione internazionale contro l’Is. Io ho espresso al ministro degli Esteri russo, Sergey Lavrov, le preoccupazioni degli Stati Uniti riguardo al sostegno militare di Mosca per il regime di Assad. Queste azioni potrebbero provocare una escalation ulteriore del conflitto, e portare ad una maggiore perdita di vite innocenti, accrescere il flusso dei rifugiati, e rischiare un confronto con la coalizione anti Is operante in Siria. Ma è anche importante che noi parliamo con i russi, per cercare di evitare i malintesi e deconflittualizzare le azioni delle nostre forze.

D.- La povertà e la diseguaglianza economica sono un problema crescente in tutto il mondo. Come possono gli Stati Uniti e la Santa Sede lavorare insieme per “mettere l’economia al servizio dei popoli”, come ha detto di recente Papa Francesco?

R.- Molti nel mondo sono ispirati dall’attenzione di Sua Santità nell’aiutare gli emarginati e gli svantaggiati. Gli Stati Uniti e la Santa Sede condividono la convinzione che tutte le persone hanno uguale dignità e valore, e che dobbiamo sforzarci di aiutare ogni essere umano a realizzare in pieno le proprie potenzialità nella vita. Come parte della Policy Directive on Global Development del Presidente Obama, noi stiamo sviluppando e rafforzando diverse partnership esistenti, incluse quelle fra le organizzazioni e istituzioni di affiliazione religiosa, e pensiamo in maniera innovativa a come affrontare il comune interesse per ottenere una crescita economica inclusiva, e risolvere sfide comuni come le minacce alla sicurezza globale, la prosperità, e la sostenibilità ambientale. Siamo incoraggiati dai successi visti con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, inclusa la significativa diminuzione della parte di popolazione mondiale che vive in povertà estrema. Siamo egualmente incoraggiati dalla conclusione positiva dei negoziati su un’ambiziosa, inclusiva l'Agenda dello Sviluppo Post-2015, che segna un momento chiave nel consenso internazionale su una visione comune per un mondo migliore, che offra opportunità ai più vulnerabili e metta il nostro pianeta su un cammino sostenibile. Siamo ansiosi di partecipare la prossima settimana al Summit dell’Onu per l’adozione dell’Agenda dello Sviluppo Post-2015, e segnare la strada per il progresso sostenuto dello sviluppo dei popoli nel globo per i decenni a venire.

D.- Nella sua Enciclica Laudato Si’, il Santo Padre ha affrontato il tema della cura della nostra casa comune. Alla fine dell’anno si terrà a Parigi la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici: cosa manca ancora per concludere un’intesa globale sul clima?

R. - Raggiungere un accordo ambizioso e duraturo alla Conferenza dell’Onu di Parigi sarebbe un passo avanti storico nella lotta contro i cambiamenti climatici. Un accordo giusto, che si applichi a tutti i Paesi, sia focalizzato sulla riduzione delle emissioni di gas e sulla costruzione della resilienza, includa forti misure di responsabilità e verifica, e assicuri l’assistenza finanziaria e tecnica a chi ne ha bisogno, è a portata di mano. Concluderlo manderebbe il segnale chiaro e necessario ai mercati e alla società civile che le nazioni del mondo stanno affrontando i cambiamenti climatici e non si tornerà più indietro. La comunità internazionale deve cogliere questa opportunità. Abbiamo davvero la possibilità di avviarci sul cammino verso un’economia globale a bassa emissione di carbonio, sostenibile, e se perdiamo questa occasione le conseguenze si estenderanno ad ogni nazione sulla terra. La buona notizia è che sappiamo come dovrà essere un accordo finale. Per cominciare, dovrà ridurre le emissioni più efficacemente possibile. Il primo passo per i Paesi è quello di presentare obiettivi nazionali forti e tempestivi. L’accordo dovrà contenere anche solide misure di verifica, affinché tutti possano vedere come i Paesi stanno applicando i loro target. Inoltre, dobbiamo accrescere l’importanza dell’adattamento. I Paesi devono produrre piani efficaci per l’adattamento, e applicarli per costruire la resilienza verso gli impatti dei cambiamenti climatici. In più, l’accordo deve essere giusto per tutti e aderente ad un mondo dinamico e in evoluzione. Infine, il risultato deve assicurare un’assistenza economica forte e durevole, mirata specialmente a sostenere gli sforzi di adattamento dei più vulnerabili, come i piccoli Stati insulari e quelli africani, costruendo sulle robuste misure prese negli anni recenti. Ovviamente, nessuno pensa che raggiungere un accordo a Parigi sarà facile, ma se siamo intelligenti, e ognuna delle nostre nazioni si impegna non solo a rappresentare le rispettive posizioni, ma a cercare davvero un terreno comune e a rispettare le preoccupazioni e gli imperativi degli altri, non ho dubbi che possiamo farcela.








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