2015-09-25 20:03:00

Immigrazione: la Croazia riapre la frontiera con la Serbia


Immigrazione: la Croazia riapre il confine con la Serbia. Resta alto il flusso di profughi e migranti via terra verso l'Europa: Ottomila gli arrivi giornalieri nell’Europa dell’est, mentre dal Mediterraneo, da inizio anno, sono giunti un milione e mezzo di persone. Il servizio di Elvira Ragosta:

Lungo la rotta balcanica la Croazia riapre il confine con la Serbia e ottiene lo smistamento di parte dei migranti verso il confine di Horgos, tra Serbia e Ungheria, ma, avverte il ministro degli interni, la barriera sarà ripristinata “se dalla Serbia riprenderanno flussi incontrollati”. Da Ankara il premier turco Davutoglu presenta una proposta internazionale per prevenire nuovi flussi stabilizzando Iraq e Siria. Intanto gli arrivi- 8mila al giorno adesso- non accennano a diminuire, secondo l’agenzia Onu per i rifugiati si aprirà a breve un fronte iracheno con oltre 3 milioni di sfollati e 10 milioni di iracheni bisognosi di aiuto umanitario entro fine anno. Lungo la rotta mediterranea il 7 ottobre partirà la fase due dell’operazione anti-scafisti stabilita dall’Unione Europea, che -annuncia  l’Alto rappresentante per la politica estera Mogherini- cambierà nome e da ‘Eunavfor Med’ diventa ‘Sofia’, come la bimba nata recentemente durante un soccorso. Secondo l’organizzazione internazionale per le migrazioni sono oltre 1 milione e mezzo i migranti giunti attraverso il Mediterraneo nel 2015. Molti di loro sono donne e bambini in fuga dalla Siria. I morti finora nel tragico viaggio, quasi tutti annegati, sono stati quasi tremila.

Sugli ultimi provvedimenti dell’Ue in materia di immigrazione Marco Guerra ha raccolto il commento di Olivero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana:

R. – Emerge una situazione che non tranquillizza, per certi versi perché i conflitti in atto continueranno ancora per diversi mesi e quindi si presume che avremo una crescita di flussi verso l’Europa e che evidentemente questo avrà come effetto diretto la necessità di risposte concrete sia in termini di accoglienza sia in termini di tutela di queste persone. Probabilmente la rotta balcanica sarà ancora molto frequentata ma non dimentichiamo che ancora via mare lungo le rotte del mediterraneo stanno giungendo migliaia di persone ogni settimana. E’ un’ Europa che alle porte ha tanti conflitti che producono tanti, molti profughi, i quali evidentemente oggi in Europa non riescono ancora a trovare un luogo sicuro visto quello che sta accadendo e che è sotto gli occhi di tutti a partire dalla costruzione di muri e  barriere  per l’ingresso nell’Unione.

D. – Il 7 ottobre partirà la fase due della missione navale europea. Il Mediterraneo resta infatti la tratta più mortale per raggiungere l’Europa. Cosa cambierà con l’intervento in acque internazionali per la ricerca degli scafisti?

R. – Su questo siamo stati sempre molto cauti. Sia perché non crediamo che azioni militari o pseudo tali possano in qualche modo disincentivare la propensione alle migrazioni da parte di coloro che comunque in maggioranza oggi fuggono da guerre o da situazioni di grave disagio economico, sociale, politico. Per cui colpire gli scafisti significa solo non dare possibilità ulteriori a queste persone di raggiungere l’Europa. Confermiamo ancora oggi che la vera azione che l’Europa dovrebbe fare e l’unico modo per contrastare gli scafisti sarebbe aprire vie legali di ingresso in Europa perché fino a che non si potrà arrivare nel nostro continente in maniera legale e sicura, chiaramente, l’unica opportunità che rimane è quella dei trafficanti che evidentemente stanno lucrando, come nessuno avrebbe forse mai immaginato prima, sulla disperazione. Oggi, se noi combattiamo gli scafisti ma non diamo alternative sicure per arrivare in Europa, rendiamo prigioniere queste persone in realtà come i campi profughi dove ormai la situazione è ingestibile e invivibile.

D. – Gli "hotspot" possono servire da questo punto di vista? A fine novembre sarà la volta dell’apertura di questi centri di identificazione…

R. – Io richiamo all’attenzione rispetto a questo nuovo strumento di cui molto si parla e noto un particolare interesse da parte dei Paesi nordeuropei, che chiaramente vedono in questa nuova formula un’ulteriore occasione per lasciare a Paesi come l’Italia e la Grecia una gestione che comunque produrrà dei problemi. Questo perché dover decidere, quasi nell’immediato, chi potrà entrare in Europa e chi dovrà essere rimandato al proprio Paese, significa mettere in moto anche una struttura in grado di rimpatriare migliaia di persone che oggi potenzialmente non saranno destinatarie di alcuna forma di protezione. E poi, visti i numeri degli arrivi in Italia e Grecia, e considerate le quote di “relocation”, c’è evidentemente una sproporzione per cui non avremmo oggi posti in Europa disponibili per ricollocare queste persone che comunque rimarrebbero nei Paesi del sud del Mediterraneo. Per cui, credo che a fronte della decisione di ricollocare queste persone, la scelta degli "hotspot" sia molto squilibrata rispetto agli oneri sui Paesi del Sud Europa che non su quelli del nord.

D. – Dopo l’accordo per la redistribuzione dei 120 mila profughi, può dirsi superato l’accordo di Dublino?

R. – Direi che è una prima spallata, anche leggera, non troppo vigorosa, a un Trattato che sono anni che dagli addetti ai lavori viene definito assolutamente inadeguato rispetto al contesto migratorio internazionale. Però, parlare di superamento di Dublino con la previsione di quote peraltro così modeste sarebbe sbagliato. Diciamo che è un primo passo. Noi dobbiamo arrivare a un’Europa che prenda consapevolezza piena che tutti siamo responsabili nella stessa maniera di un fenomeno che ha dimensioni importanti e che durerà probabilmente per molti anni a venire.








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