2015-09-25 13:58:00

La Turchia propone a Usa e Ue piano comune per i profughi


La crisi migratoria ancora al centro dell’agenda europea. L’alto rappresentate della Politica estera dell’Unione, Federica Mogherini, ha annunciato che il 7 ottobre partirà la fase due della missione navale Ue nel Mediterraneo, con interventi contro gli scafisti. Sempre l’Ue ha chiesto alla Croazia "chiarimenti urgenti" sulla chiusura del confine con la Serbia, mentre l’Ungheria ha iniziato la costruzione di una barriera anche al confine con la Slovenia. Intanto, la Turchia lancia l’allarme per il possibile arrivo in Europa di sette milioni di profughi Siriani e propone Stati Uniti e Europa un meccanismo comune per far fronte all’emergenza dei rifugiati. Rispetto gli ultimi provvedimenti dell’Ue in materia di immigrazione Marco Guerra ha raccolto il commento di Olivero Forti, responsabile immigrazione di Caritas italiana:

R. – Emerge una situazione che non tranquillizza, per certi versi perché i conflitti in atto continueranno ancora per diversi mesi e quindi si presume che avremo una crescita di flussi verso l’Europa e che evidentemente questo avrà come effetto diretto la necessità di risposte concrete sia in termini di accoglienza sia in termini di tutela di queste persone. Probabilmente la rotta balcanica sarà ancora molto frequentata ma non dimentichiamo che ancora via mare lungo le rotte del mediterraneo stanno giungendo migliaia di persone ogni settimana. E’ un’ Europa che alle porte ha tanti conflitti che producono tanti, molti profughi, i quali evidentemente oggi in Europa non riescono ancora a trovare un luogo sicuro visto quello che sta accadendo e che è sotto gli occhi di tutti a partire dalla costruzione di muri e  barriere  per l’ingresso nell’Unione.

D. – Il 7 ottobre partirà la fase due della missione navale europea. Il Mediterraneo resta infatti la tratta più mortale per raggiungere l’Europa. Cosa cambierà con l’intervento in acque internazionali per la ricerca degli scafisti?

R. – Su questo siamo stati sempre molto cauti. Sia perché non crediamo che azioni militari o pseudo tali possano in qualche modo disincentivare la propensione alle migrazioni da parte di coloro che comunque in maggioranza oggi fuggono da guerre o da situazioni di grave disagio economico, sociale, politico. Per cui colpire gli scafisti significa solo non dare possibilità ulteriori a queste persone di raggiungere l’Europa. Confermiamo ancora oggi che la vera azione che l’Europa dovrebbe fare e l’unico modo per contrastare gli scafisti sarebbe aprire vie legali di ingresso in Europa perché fino a che non si potrà arrivare nel nostro continente in maniera legale e sicura, chiaramente, l’unica opportunità che rimane è quella dei trafficanti che evidentemente stanno lucrando, come nessuno avrebbe forse mai immaginato prima, sulla disperazione. Oggi, se noi combattiamo gli scafisti ma non diamo alternative sicure per arrivare in Europa, rendiamo prigioniere queste persone in realtà come i campi profughi dove ormai la situazione è ingestibile e invivibile.

D. – Gli "hotspot" possono servire da questo punto di vista? A fine novembre sarà la volta dell’apertura di questi centri di identificazione…

R. – Io richiamo all’attenzione rispetto a questo nuovo strumento di cui molto si parla e noto un particolare interesse da parte dei Paesi nordeuropei, che chiaramente vedono in questa nuova formula un’ulteriore occasione per lasciare a Paesi come l’Italia e la Grecia una gestione che comunque produrrà dei problemi. Questo perché dover decidere, quasi nell’immediato, chi potrà entrare in Europa e chi dovrà essere rimandato al proprio Paese, significa mettere in moto anche una struttura in grado di rimpatriare migliaia di persone che oggi potenzialmente non saranno destinatarie di alcuna forma di protezione. E poi, visti i numeri degli arrivi in Italia e Grecia, e considerate le quote di “relocation”, c’è evidentemente una sproporzione per cui non avremmo oggi posti in Europa disponibili per ricollocare queste persone che comunque rimarrebbero nei Paesi del sud del Mediterraneo. Per cui, credo che a fronte della decisione di ricollocare queste persone, la scelta degli "hotspot" sia molto squilibrata rispetto agli oneri sui Paesi del Sud Europa che non su quelli del nord.

D. – Dopo l’accordo per la redistribuzione dei 120 mila profughi, può dirsi superato l’accordo di Dublino?

R. – Direi che è una prima spallata, anche leggera, non troppo vigorosa, a un Trattato che sono anni che dagli addetti ai lavori viene definito assolutamente inadeguato rispetto al contesto migratorio internazionale. Però, parlare di superamento di Dublino con la previsione di quote peraltro così modeste sarebbe sbagliato. Diciamo che è un primo passo. Noi dobbiamo arrivare a un’Europa che prenda consapevolezza piena che tutti siamo responsabili nella stessa maniera di un fenomeno che ha dimensioni importanti e che durerà probabilmente per molti anni a venire.








All the contents on this site are copyrighted ©.