2015-09-25 14:00:00

Papa al Congresso. Fasce: grande impatto su politica americana


Un intervento memorabile che richiama l’autentico spirito americano. E’ in sintesi il giudizio che i media americani hanno dato del discorso di Papa Francesco al Congresso degli Stati Uniti, la prima volta di un Pontefice nel centro del potere legislativo americano. Sul significato di questo evento e le possibili ricadute sulla politica e sulla società statunitense, Alessandro Gisotti ha intervistato l’americanista Ferdinando Fasce, docente di Storia Contemporanea all’Università di Genova:

R. – Mi ha fatto l’effetto di una apertura, di una grande apertura, ovvero mostrare come il mondo abbia una configurazione o possa avere una configurazione davvero globale in termini di ampia partecipazione. Qui avevamo un Papa dell’America Latina e a sua volta è di origine italiana. Quindi mi è sembrato molto bello questo intrecciarsi di tante storie dentro quel grande soggetto internazionale di politica che è il Congresso statunitense.

D. – Papa Francesco effettivamente ha richiamato le sue origini di migrante, di figlio di migranti, come aveva fatto anche alla Casa Bianca. Questo è un qualcosa che chiaramente ha un significato molto forte nel momento in cui proprio il tema dell’immigrazione è tra quelli più animatamente discussi al Congresso…

R.  – Sì. Mi è parso che qui veramente ci sia stata una capacità da parte del Papa di far risuonare in un modo rigoroso, al tempo stesso appassionato, il riproporsi della questione migratoria, la necessità di affrontarla in maniere che non ci siano né muri né chiusure.

D. – Dall’abolizione della pena di morte ai cambiamenti climatici, appunto all’accoglienza dei migranti, ma anche la difesa della vita e la famiglia… Papa Francesco ha avuto anche coraggio nell’affrontare tutti i temi che in qualche modo sono all’ordine del giorno proprio della politica americana e del Congresso in particolare…

R.  – Assolutamente! C’è stata una capacità mi pare di lavorare su più registri, dalla questione delle armi e della pena di morte all’importanza della libertà di culto, della professione di fede sganciata però dai fondamentalismi.

D. – A Washington si dice “Everything is politics”, "Ogni cosa è politica": questo discorso ovviamente è stato subito analizzato e soppesato anche sotto il profilo della politica, cioè chi favorirà, Democratici o Repubblicani ad un anno delle presidenziali…

R. – Indubbiamente, tenuto conto anche della presenza consistente di cattolici tra l’elettorato statunitense. Leggevo il New York Times qualche ora fa che dice che in realtà sia Democratici che Repubblicani possono trovare elementi di cui nutrire la loro vita politica nel discorso del Papa. Direi che in generale l’invito al confronto e al superamento delle barriere e al superamento di certe chiusure preconcette, ecco credo che questo invito pur posto nella maniera più attenta e più sorvegliata possibile non potrà che avere un impatto sull’elettorato!

D. - In un passaggio del discorso al Congresso, Francesco ha detto: Io sono Pontefice e dunque "costruttore di ponti". In una politica così polarizzata, in realtà anche in una società per alcuni aspetti divisa e frammentata come quella americana, questo viaggio e questo discorso in particolare potranno avere un ruolo proprio nel cercare di "depolarizzare" la politica e la società americana?

R. – Mi è piaciuto molto questo riferimento alla questione della costruzione di ponti. Perché questa è una nozione molto importante delle scienze sociali proprio statunitensi: cioè, il fatto che noi spesso facciamo del “bonding”, ci mettiamo insieme a quelli che già la pensano allo stesso modo. Invece, si dice, bisogna essere sempre più “builder”, cioè costruttori: costruttori di ponti verso chi non la pensa come noi, apertura di dialogo e di confronto. In questo senso davvero c’è da augurarsi che questo discorso influisca sulla vita pubblica e politica statunitense.








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