2015-09-29 13:49:00

Cooperante italiano ucciso a Dacca: l'Is rivendica l'attacco


Un cooperante italiano di 51 anni, Cesare Tavella, è stato ucciso ieri sera nella capitale del Bangladesh, Dacca, da tre uomini armati probabilmente legati al fondamentalismo islamico. L’attacco è stato infatti rivendicato su Internet da una cellula locale dello Stato islamico. Nel comunicato, sulla cui attendibilità sta indagando la Farnesina, si definisce la vittima “uno spregevole crociato” e si minacciano di morte di tutti i non musulmani presenti nel Paese. L’episodio è l’ultimo di una serie di attacchi da parte dei fondamentalisti islamici, in un Paese tradizionalmente estraneo al fenomeno come spiega Diego Abenante, docente di storia dei Paesi Afro-Asiatici all’Università di Trieste, al microfono di Michele Raviart:

R. – L’Asia meridionale, da un punto di vista islamico, è una regione storicamente tollerante in cui è in atto un braccio di ferro tra una versione ideologizzata dell’islam e chi invece si sforza di mantenere le radici locali dell’islam. Questa sorta di contrasto religioso è stato ulteriormente rafforzato dal dibattito che è sorto nel 2013 e 2014, riguardo ai processi per i crimini di guerra della guerra civile del 1971. Questi processi, che sono stati fortemente voluti dal governo del primo ministro, Sheikh Hasina, hanno finito in qualche modo per riportare sulla pubblica piazza la divisione che esiste nella società bengalese tra i fautori di due diverse visioni dell’islam: una visione prettamente locale, più tollerante, più sincretista e fortemente bengalese e, dall’altra parte, invece una visione internazionalista islamica, più tendente al fondamentalismo.

D. – L’omicidio del cooperante italiano è stato rivendicato da una cellula dello Stato islamico. E’ plausibile che gli uomini del Califfato siano arrivati anche in Bangladesh?

R. – Ci sono certamente dei tentativi di trasportare questa organizzazione in Asia meridionale. Abbiamo delle informazioni che tentativi analoghi siano stati portati avanti anche in Pakistan e in Afghanistan. Quindi, non sorprende che qualcosa del genere stia avvenendo anche in Bangladesh. C’è, però, bisogno di essere cauti, perché effettivamente è un po’ presto per dire che Daesh abbia effettivamente creato una organizzazione in loco.

D. – Invece, c’è una cellula di al-Qaeda che è stata fondata da al-Zawahiri, che sta in una sorta di competizione con altri estremismi. Che cosa vuole il fondamentalismo islamico per il Bangladesh?

R. – Il Bangladesh, come il suo più grande vicino, cioè l’India, rappresenta per il mondo del fondamentalismo islamico una contraddizione, perché è un Paese con una forte componente musulmana che però ha sempre preferito adottare e mantenere una propria personale versione dell’islam, poco interessata a sviluppare delle forme di identità musulmana ortodossa e interessata invece a conservare le proprie peculiarità locali. Quindi, è noto che l’islam bengalese è un islam che ha molto in comune persino con le pratiche religiose dell’induismo. Agli occhi di un certo estremismo islamico contemporaneo tutto questo rappresenta una contraddizione che deve essere eliminata.

D. – Negli ultimi mesi sono stati presi di mira, uccisi o aggrediti almeno quattro blogger che si definivano o atei o contro il fondamentalismo islamico, e un’altra ventina sono stati messi all’indice. Perché l’estremismo si focalizza proprio su queste figure? 

R. – Questo è un fenomeno molto simile a ciò che abbiamo osservato in altri Paesi musulmani, purtroppo, dell’area sud asiatica e del Medio Oriente. Vengono prese di mira le voci dissenzienti, cioè quelle persone, quegli intellettuali, giornalisti o semplicemente blogger, che pubblicamente affermano il proprio dissenso nei confronti di una visione ideologizzata dell’islam. Fanno paura, perché potrebbero essere dei portavoce di una nuova generazione di musulmani, soprattutto di giovani musulmani, che pur rivendicando il proprio essere musulmani affermano di non condividere una visione invece “scritturalista” e ideologizzata dell’islam.








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