2015-10-03 15:24:00

Santa Cecilia, Pappano dirige il concerto inaugurale


Si inaugura questa sera, all'Auditorium Parco della Musica, di Roma la Stagione Sinfonica dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia con il progetto "Beethoven e i suoi contemporanei", affidato alla bacchetta di Antonio Pappano. I concerti proseguiranno poi fino al giugno del prossimo anno, affiancandosi a quelli della Stagione da Camera. Il servizio di Luca Pellegrini:

Un canto di pace, un inno alla gioia. Il primo levato attraverso le parole di Nelson Mandela che il compositore Luca Francesconi ha letto e meditato inserendole nella sua nuova opera "Bread, Water and Salt", in prima esecuzione assoluta questa sera; il secondo nell'interpretazione corale del sempre travolgente finale della "Nona Sinfonia" di Beethoven. Con questi due titoli l'Accademia di Santa Cecilia inaugura la sua lunga e affascinante stagione di musica, che richiama a Roma artisti di altissimo livello e riunisci ancora una volta un ampio pubblico di fedeli e curiosi. Michele Dall'Ongaro, presidente della secolare Istituzione, ci tiene a ribadire che la musica è un diritto universale inalienabile e con questo spirito affronta il suo impegno artistico.

 “La musica è di tutti, le cose belle sono di tutti. La bellezza però da sola non ci basta, perché la bellezza non salva il mondo. In nome della bellezza sono stati anche compiuti delitti orrendi! Ricordiamo che quando si andava verso i campi di concentramento, da qualche parte suonavano la ‘Terza Sinfonia’ di Beethoven. Per cui, alla bellezza bisogna aggiungere il pensiero, la riflessione, la passione: tutte queste cose vanno di pari passo. Per noi, quindi, la musica contemporanea, il rapporto contemporaneo, ha sempre una relazione con la tradizione. Non importa se è nato prima Luca Francesconi o Beethoven, quello che importa è che tutti e due s’interrogano sui grandi temi che ci riguardano: la libertà, la fratellanza. E rispondono con i loro strumenti: Beethoven con Schiller, Francesconi con Mandela. Le domande rimangono le stesse, cambiano le risposte e noi queste risposte dobbiamo cercarle con tutti i mezzi possibili”.

Al maestro Antonio Pappano, che nel giro di un mese dirigerà tutte le Sinfonie beethoveniane affiancate da musiche dei suoi e nostri contemporanei – Spontini, Cherubini, Sollima, Nieder – il compito di illustrare questo progetto:

R. – Noi viviamo nell’adesso, spero, e di questo dobbiamo renderci conto e ricordarcelo. La formula per scrivere una sinfonia o un pezzo musicale rimane sempre la stessa: la pagina vuota, la creatività, l’ispirazione. Da dove viene questa ispirazione? C’è il talento, però c’è qualcosa di magico, c’è un sodo lavoro, e forse Beethoven è l’esempio di questo: la creatività, la perseveranza, l’amore, il coraggio, il cercare di aprire porte nuove, di scavarsi l’espressione dentro se stesso… È una cosa fondamentale e ogni compositore deve percorrere questa strada. E secondo me è questo il bello di abbinare questi due pezzi. Spero che il pubblico si renda conto che, ovviamente, il soggetto – la libertà, la discriminazione, la fratellanza, l’amore per il prossimo – il tema originale di questo concerto è questo e ne abbiamo tantissimo bisogno oggi nel nostro mondo.

D. – Lei ha descritto questo concerto come un “grido”…

R. – Un “grido” affinché ci rendiamo conto che l’amore per il prossimo rimane fondamentale per la nostra vita. Ma anche un grido per la creatività e per tutto quello che è nuovo. Però mai, mai, mai dimenticando il passato: l’ispirazione di un Beethoven, un Bach, un Mozart, di tutto ciò che è bello. E anche il ricordare quello che è di ieri: questo è eccezionalmente importante per noi.

E Luca Francesconi svela che cosa accomuna la sua musica a quella di Beethoven, le parole di Mandela a quelle di Schiller:

R. – Io credo il senso della dignità. La grande differenza è che Beethoven era molto deluso dall’esperienza politica dopo i fatti di Napoleone e dunque si affida a un ideale romantico che Schiller in questo senso incarna molto bene. Però, diciamo che è più un sogno. Mandela è un uomo pratico, è un uomo che la poesia l’ha fatta nei fatti, nella realtà, e ha realizzato molte delle cose che ha sognato. Questo modo di vedere riguarda però sempre la dignità di ogni essere umano, questa che potrei chiamare anche “pietas”.

D. – Lei ha parlato della purezza dello sguardo di Mandela. Se ne sente eco nella sua musica?

R. – Io spero di sì, perché non sono figlio di nessuna scuola. La cosa che ho imparato di più è proprio quella di utilizzare gli strumenti che appartengono alla nostra cultura per entrare in comunicazione con altre culture. Per cui, non ho mai seguito ideologie, linguaggi particolari imposti in senso manierista, accademico, e ho cercato di sviluppare una mia voce e in questo senso più vicina alla materia, al corpo… Sì, ho cercato questo.








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