2015-10-06 10:30:00

Palermo, al via il primo Festival delle letterature Migranti


Letterature, antidoto a paura e intolleranza: questo il senso del primo Festival delle Letterature Migranti che inizia domani a Palermo e in programma fino all'11 ottobre. Scrittori e protagonisti delle migrazioni, per spaziare dalla narrativa al reportage, dal cinema ai blog, dal teatro al racconto orale, tra arte e testimonianze di vita. Francesca Di Folco ha intervistato il direttore della manifestazione, Davide Camarrone:

R. – Quando parliamo di letterature migranti non parliamo della letteratura che riguarda i migranti – parliamo anche di quella naturalmente – ma parliamo del carattere costitutivo del contemporaneo: cioè il fatto che la letteratura che anticipa e racconta da sempre il nostro mondo ci dice che viviamo in una condizione ordinaria. Ci sono le migrazioni che stanno cambiando, ci sono le migrazioni più grandi della storia umana, i volti delle nostre città. Per Palermo, è un ritorno indietro perché noi abbiamo vissuto fino alla fine del Quattrocento con tanti popoli, tante religioni, tante lingue, tante culture e lo abbiamo fatto in pace. Poi, per molti secoli qualcuno ha preteso di ridurre a uno tutto quanto e questo per noi è stato fonte di imbarbarimento e di violenza. Adesso che le nostre strade tornano a popolarsi di lingue e di suoni diversi, di 100 popolazioni, 150 lingue differenti, noi abbiamo immaginato che fosse nostro dovere occuparci delle letterature che sono il solo antidoto contro la paura e la paura ha in sé il germe della violenza e dell’intolleranza.

D. – Come si colloca il vostro Festival della letteratura migrante in questo scorcio di inizio millennio in cui la globalizzazione, oltre che attraverso una tecnologia sfrenata, passa soprattutto per il confronto con l’altro, il diverso?

R.  – Noi dobbiamo smettere di usare la parola “diverso”, oppure decidere che siamo tutti diversi gli uni dagli altri. Se la diversità ha una connotazione negativa, allora dobbiamo cominciare a pensare che le similitudini procedono per diversità. Non dobbiamo immaginare che sia il colore della pelle a renderci diversi. Diversi, per fortuna, perché la diversità è condizione di arricchimento, lo siamo per inclinazione, lo siamo per sentimenti, lo siamo per formazione… La nostra grande fortuna è nel tempo che stiamo vivendo. Ci sono tensioni, resistenze, rischi, pericoli, ci sono fraintendimenti, ma io credo che la letteratura può rappresentare l’antidoto pacifico alla violenza. Non si reagisce alla violenza con altra violenza. Io credo che si reagisca alla violenza con un libro e la funzione del libro venga svolta anche da tanto altro, dalla fiction, dal teatro, dal web…

D. – Palermo, Lampedusa: città simbolo perché crocevia di umanità sofferte, “Babele” plurilingue e identità sfaccettate…

R. – L’identità della Sicilia ha nel suo Dna la sua convivenza tra popoli differenti. Lampedusa peraltro eredita il suo nome da un fatto di convivenza. Lampedusa è “Lampaduza” che è il nome che gli arabi danno arrivando da sud a quest’isola nel Mediterraneo: era l’antica lampada che come un faro illuminava la via dei viandanti per mare. Li accoglieva e li portava al sicuro sulla terra ferma. E dietro questa Lampaduza c’erano due grotte, raccontano le cronache antiche del Seicento e del Settecento, dove affiancati pregavano i cristiani e i musulmani. Noi abbiamo già in eredità un’indicazione per il futuro. Si tratta di ascoltare quello che i nostri padri ancora ci dicono attraverso le letterature e dirlo con la stessa passione ai nostri figli.

D.  – Palermo terra di immigrazione e di emigrazione sia odierna che passata, tanto per ricordare che c’è stato un tempo non lontano quando gli altri eravamo noi...

R. – Noi siamo altri a noi stessi anche oggi. Noi dovremmo avere memoria di quando i nostri padri erano costretti a fuggire. Oggi, i nostri figli vanno via sia per la perdurante crisi economica sia perché adesso, con un mondo che si regge sulle comunicazioni fisiche e su quelle virtuali, ci chiediamo: ma perché non immaginare la migrazione come condizione ordinaria? Cioè la possibilità di studiare un po' da una parte e un po’ dall’altra, di affinare la nostra preparazione in altri luoghi, di lavorare lì dove la nostra competenza è richiesta… Quindi, dovremo cominciare a immaginare le migrazioni come una condizione ordinaria e questa ordinarietà della condizione migratoria è proprio a fondamento di questo festival.








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