2015-10-06 14:32:00

Air France. Hollande: violenze inaccettabili, sanzioni severe


Crisi Air France: è dura la reazione dell'Eliseo nei confronti dei dipendenti che hanno aggredito ieri diversi dirigenti dell'azienda in protesta contro un piano di tagli da 2.900 posti.“ Violenze inaccettabili che richiedono sanzioni severe“, afferma il presidente Hollande, anche se il dialogo deve andare avanti. Ora sarà un'inchiesta a far luce su quanto accaduto, ma sullo sfondo resta la questione di una compagnia con i conti aziendali in crisi, che fallisce nei suoi intenti di aumentata produttività e ora decide drasticamente per la riduzione di rotte e lavoratori. Una situazione non nuova e specchio della crisi globale. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Matteo Caroli, ordinario di economia e gestione delle imprese internazionali all'Università Luiss:

R. – La crisi dell’azienda deriva dal fatto che tutto il settore del trasporto aereo è in forte cambiamento, la competizione è diventata molto più intensa per via delle "low cost" e c’è bisogno di innovare i modelli di business e di cambiare.

D. – Certo, se questo cambiamento significa tagli, per un’azienda deve essere proprio arrivato il momento del fallimento totale sotto altri punti di vista, per esempio un piano di aumentata produttività...

R. – I tagli di per sé vanno sempre evitati, ma la questione fondamentale è che il modo di lavorare e le competenze necessarie sono diverse. Occorre naturalmente trovare il modo di gestire i problemi sociali, anche umani, che ne derivano, ma occorre trovare modelli nuovi e adeguati a contesti competitivi molto diversi.

D. – Quindi, si pensa a un ridimensionamento totale di Air France, è questo che accadrà?

R. – Credo sia necessario un salto in avanti in termini di efficienza, di cambiamento del modello di business. Il business aereo guadagna proprio sulle rotte intercontinentali e ha nel costo del lavoro e nella flessibilità del lavoro due elementi di competitività molto forte. E’ chiaro, quindi, che bisognerà migliorare su questi fronti.

D. – Il premier Valls ha detto che una compagnia aerea può anche scomparire. Intendeva scomparire così come è andata avanti fino ad ora e rinascere in forma nuova?

R. – Direi assolutamente di sì. Air France potrà essere magari rifondata, entrare in un gruppo più grande, ma la sua centralità rimarrà in Francia, perché è troppo importante avere una compagnia che garantisca una presenza forte negli aeroporti del proprio Paese.

D. – E’ troppo dire che quanto sta succedendo sia specchio di un andamento di crisi un po’ globale, che riguarda per esempio i conti aziendali, il fatto che i salari non possano crescere e ci siano bassi ricavi…

R. – Innanzitutto, non è vero che i salari non possono crescere. I salari crescono e devono crescere, ma questa crescita deve essere legata alla produttività del lavoro. Dopo di che, è chiaro che siamo in una fase di fortissimo dinamismo, di fortissima innovazione – questo vale in Europa e vale nel mondo – e chiaramente il dinamismo e l’innovazione sono una cosa molto bella per chi riesce a stare al passo, pongono invece un problema per chi rimane indietro. E’ chiaro che questo è un tema cruciale che va gestito, ma su un piano di tipo sociale, non su un piano di tipo gestionale.

D. – Le chiedo un commento alle modalità dei francesi di fare rivendicazioni aziendali o lavorative. Pensiamo al caso Goodyear, oppure alla rabbia degli allevatori quest’estate o a quella dei tassisti contro la Uber…

R. – Questo dimostra che forse la Francia, la cultura francese, si è un po’ "seduta", se posso usare questo termine, sulla propria vera o supposta "grandeur". E questi episodi dimostrano la difficoltà di larghe fasce della società francese di adattarsi, di saper essere innovative e di accettare le sfide. E guardi, non è soltanto delle fasce popolari – dei lavoratori, piuttosto che dei tassisti. E' anche molto della classe dirigente, fortemente oligarchica. Qualche osservatore esperto di cose francesi, sento dire, prefigura appunto una crisi innanzitutto culturale della Francia. Crisi, quindi, che poi richiedono anni per il loro superamento. Forse c’è un po’ questo. In questo senso, noi ci siamo dimostrati forse più flessibili e più pronti al cambiamento, nonostante le tante difficoltà e anche contraddizioni che ancora vediamo nel nostro Paese.








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