2015-10-08 13:51:00

Immigrazione. Unhcr: nessun uomo è uno scarto


“I centri di identificazione dei richiedenti asilo sono la precondizione essenziale per far rispettare le nostre frontiere”. Lo ha detto, il presidente francese, Francois Hollande, parlando ieri al parlamento europeo in sessione plenaria a Strasburgo, nel discorso congiunto con la cancelliera tedesca, Angela Merkel che ha ribadito: “Il regolamento di Dublino è ormai superato”. Il servizio di Massimiliano Menichetti:

Il capo dell'Eliseo ha spiegato che la fine del trattato di Schengen sulla libera circolazione "sarebbe un errore tragico" e che l’Europa "ha tardato a capire che le crisi in Medio Oriente e in Africa avrebbero avuto delle conseguenze” pesanti. Ha ammesso che l’Ue “non ha aiutato abbastanza chi ha ospitato milioni di profughi” e che "Italia, Grecia e i Paesi balcanici non possono essere lasciati soli. Punto centrale per il capo dell’Eliseo è “il sistema di redistribuzione dei richiedenti asilo, che va attuato rapidamente". Per la Merkel “chi scappa dalla guerra deve poter vivere senza paura e questo – ha evidenziato – è un lavoro per l'Europa e il mondo”. “Per fronteggiare la crisi migratoria – ha incalzato – abbiamo bisogno di più Europa e non di approcci nazionali". In particolare, per la cancelliera è necessario aiutare i Paesi vicini “alla Siria che ospitano milioni di profughi” e la Turchia, che “gioca un ruolo cruciale”. Ha espresso l’impegno a strutturare una nuova procedura che ottemperi a "equità e solidarietà" ribadendo che il trattato di Dublino, che incardina di fatto i richiedenti asilo nel Paese d’arrivo, è superato. Tuttavia, per la Merkel i cosiddetti “migranti economici” ovvero chi emigra cercando di migliorare la propria condizione di vita, quindi non rifugiati e richiedenti asilo, "non possono restare in Germania", perché il Paese "è impegnato ad aiutare chi fugge dalla guerra”. E oggi proprio la questione del rimpatrio dei “migranti economici” è al centro del Consiglio Ue degli Affari interni a Lussemburgo, intanto l’Italia ha confermato che venerdì ci saranno i ricollocamenti verso la Svezia di una ventina di eritrei che fanno parte del gruppo di 40 mila previsti su scala Europea. Ancora senza soluzione i migranti bloccati a Calais in Francia e le chiusure nel centro dell'Europa del cosiddetto gruppo Visegrad, ovvero Repubblica Ceca, Ungheria, Polonia e Slovacchia.

Sulla situazione attuale abbiamo intervistato Carlotta Sami, portavoce dell'Alto Commissariato Onu per i rifufiati: 

R. – Per noi, è importante che continui ad esserci una risposta collettiva robusta da parte europea. Bene il primo passo, quello della decisione sui piani di ricollocamento dei richiedenti asilo attraverso i diversi Paesi europei. Il regolamento di Dublino sappiamo che andrà a naturale revisione nel 2016: è bene che se ne ravvisino sia gli aspetti positivi – che però spesso non sono applicati, come i ricongiungimenti familiari – sia ciò che non funziona. Bisogna continuare con questo spirito di solidarietà tra i membri dell’Unione.

D. – Si invocano continuamente canali di ingresso preferenziali nei Paesi vicini alle zone di conflitto – di migrazione forzata – ma questa strada non vede mai la luce…

R. – L’importante è rendere accessibili le vie legali per l’accesso alla protezione in Europa. Significa utilizzare strumenti che già ci sono, ma vengono applicati poco, come i programmi di reinsediamento, i ricongiungimenti familiari che non sono mai possibili a causa di lunghissimi tempi amministrativi. Ci sono anche forme di sponsorizzazione private fatte ad esempio da datori di lavoro o da università per i più giovani. Ci possono essere visti umanitari per i casi medici più gravi. Bisogna insomma assolutamente aumentare le vie legali per coloro che hanno bisogno di protezione. Poi, è importante aprire ulteriori centri, migliorare le condizioni di coloro che sono nei Paesi vicini alla guerra. In questo momento, abbiamo visto che c’è un’apertura, ci sono maggiori finanziamenti in particolare per la Siria: non dimentichiamo che la vita dei rifugiati nei Paesi vicini alla guerra è una vita di stenti al momento.

D. – E’ partita la fase due del contrasto in mare agli scafisti, ovvero è “Eunavfor Med”, missione in mare che va dal confine tunisino a quello egiziano. Che ne pensa di questa iniziativa?

R. – Il primo modo per contrastare il traffico dei migranti è togliere esseri umani dalle grinfie dei mercanti di morte e per farlo bisogna aprire le vie legali. Il secondo aspetto – dato che il Mar Mediterraneo rappresenta la rotta più rischiosa al mondo con oltre 3.000 vittime dall’inizio dell’anno – è quello di dare priorità anzitutto al salvataggio in mare.

D. – Come giudica la distinzione, e quindi l’accesso nei Paesi, tra migranti che fuggono da guerre e da persecuzioni e quelli che cercano invece una migliore condizione economica, i cosiddetti "migranti economici"?

R. – Va ribadita con forza la necessità di applicare la Convenzione di Ginevra e di dare piena protezione ai richiedenti asilo. Queste persone si trovano in una condizione di estrema vulnerabilità e non va in alcun modo attenuata la forza di questo strumento. È bene distinguere chiaramente – ma non per il fatto che dei migranti economici si possa fare qualsiasi cosa: ci devono essere delle politiche di gestione dei flussi di migrazione.

D. – Insomma, ci sono delle priorità ma questa situazione non deve poi ricadere in maniera negativa su queste persone…

R. – Nessun essere umano può essere considerato uno scarto. Vanno rispettati i diritti e tutte le condizioni che possano assicurare un trattamento dignitoso. Ma bisogna anche che si affronti la questione della migrazione in modo concreto, perché – lo dicono tutti gli economisti e gli stessi governanti europei – a causa del grande calo demografico in Europa c’è bisogno anche di forza lavoro. Bene, allora bisogna che si metta mano alla gestione dei flussi di migrazione, che si addivenga a degli accordi multilaterali con dei Paesi di origine da cui i migranti economici arrivano. E bisogna anche che, nel momento in cui vengono rimpatriati però, ci siano degli investimenti in questi Paesi per migliorare le condizioni economiche e il livello di sviluppo.








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