2015-10-13 19:06:00

Israele: serie di attacchi, 3 morti. Netanyahu: "Basta istigazione"


Violenza e terrore oggi a Gerusalemme e in altre zone di Israele, in quello che diverse organizzazioni palestinesi hanno chiamato il "giorno della rabbia". Tre le vittime e una ventina i feriti a seguito di diversi attacchi perpetrati da aggressori palestinesi. Secondo fonti di sicurezza israeliane si tratta di azioni pianificate e coordinate. Il premier Netanyahu garantisce: “userò tutti mezzi per riportare la calma”. Il servizio di Marco Guerra:

La lunga di serie di attacchi si è aperta Tel Aviv, con lo stesso copione che ha caratterizzato anche i giorni precedenti: un uomo è stato ferito da un aggressore palestinese armato di coltello. Sempre a Tel Aviv, poche ore dopo la stessa sorte è toccata ad una donna ebrea. Ma è Gerusalemme dove sono avvenute le azioni più gravi: due terroristi, di cui uno armato di pistola, hanno attaccato i passeggeri di un autobus nel quartiere di Armon Hanatzi. Due le vittime e 16 i feriti. La polizia ha ucciso uno degli aggressori. La terza vittima in un’altra strada della Città Santa, dove un uomo ha lanciato l'auto contro un gruppo di persone alla fermata dell’autobus.

Fonti di sicurezza ritengono che si tratti di attacchi progettati da tempo, come testimoniano alcuni post sul profilo Facebook di uno degli attentatori. Intanto tensioni è scontri tra forze israeliane e palestinesi si sono registrati al confine con Gaza e a Betlemme, in Cisgiordania, dove si registra la morte di un giovane arabo.

Hamas ha "benedetto" gli attacchi e l’Olp ha accusato il governo israeliano di essere il vero responsabile delle violenze. “Basta bugie e istigazione” ha detto il premier israeliano Netanyahu rivolgendosi  al presidente Abu Mazen, dopo la riunione del gabinetto di sicurezza. Il primo ministro ha quindi assicurato che Israele "regolerà i conti con gli assassini e con coloro che li istigano". Fra le misure sarà valutata anche la chiusura dei quartieri arabi di Gerusalemme per impedire l’accesso dei palestinesi alle zone ebraiche. 

 

Fausta Speranza ha chiesto una riflessione a Daniele De Luca, docente di Storia delle relazioni internazionali all’Università del Salento:

R. – Anche le precedenti Intifade, soprattutto la prima – perché la seconda sicuramente aveva un carattere meno spontaneo – sono sempre state caratterizzate dall’impegno sia delle donne che degli adolescenti. In questo caso, le donne sono più legate magari a gruppi più estremisti rispetto soprattutto alla prima Intifada, ma in ogni caso la loro presenza non è sicuramente maggiore rispetto agli altri momenti di rivolta nei confronti del governo israeliano.

D. – Una innegabile recrudescenza di violenza. Ma soddisfano le dichiarazioni rilasciate, da una parte e dall’altra, dalle autorità?

R. – No, non soddisfano, anche perché entrambe le autorità – mi riferisco cioè sia al governo d’Israele che all’Autorità palestinese – dovrebbero fare un forte mea culpa. E’ passato il tempo e non si riesce a trovare una qualsiasi soluzione, anche minima. C’è un reciproco disconoscimento, un tentativo di indebolirsi vicendevolmente, e naturalmente chi ne fa le spese non sono tanto coloro i quali sono al potere, ma naturalmente le persone che risentono della occupazione israeliana, da una parte, o della violenza da parte dei gruppi terroristici palestinesi, dall’altra.

D. – Lamentavamo uno stallo nel negoziato di pace: era una calma sicuramente preoccupante. In questo momento siamo in un’altra fase, molto più preoccupante…

R. – Sì, molto più preoccupante, anche per una ragione, secondo me: il fatto che il movimento palestinese in questo momento non abbia una vera leadership, nel senso che Abu Mazen è stato indebolito sia dall’interno che dall’esterno. Sembrava che la manifestazione pubblica, quando è stata issata la bandiera palestinese all’Onu, fosse stata una sua grande vittoria, ed è sicuramente una vittoria, ma viene sentita soprattutto nelle strade della Cisgiordania come una minima vittoria, come una vittoria di facciata, che non ha alcuna ricaduta vera sulla vita comune quotidiana delle persone. Dall’altra parte, lo stesso Netanyahu non ha fatto nulla per irrobustire la leadership di Abu Mazen. Questo indebolimento di Abu Mazen, però, purtroppo poi sul campo porta invece al rafforzamento dei gruppi estremisti, sia a Gaza sia in Cisgiordania, che naturalmente non fanno altro che tentare di mettere in difficoltà in maniera violenta il governo di Israele.

D. – Il muro non può essere l’unica soluzione da perseguire…

R. – La rivolta avviene generalmente a Gerusalemme o nei dintorni di Gerusalemme, cioè praticamente dove il muro non c’è. Il muro è servito soprattutto a proteggere dai grandi attentati con esplosivo e questo è stato un successo. Naturalmente, è difficile controllare tutte le persone che attraversano i posti di blocco, una per una. E’ soprattutto ai posti di blocco che le persone tentano di farsi saltare in aria e generalmente questo per fortuna non avviene. Il problema del passaggio, da Gerusalemme est a Gerusalemme Ovest, invece non può essere fermato perché tra Gerusalemme Est e Gerusalemme Ovest non ci sono muri, non ci sono barriere, non ci sono dei posti di blocco, a meno che non si parli naturalmente degli ingressi nelle aree sacre, come può essere il muro occidentale o l’ingresso alla Spianata delle moschee. No, non è l’unica soluzione da perseguire. E’ al tavolo delle trattative che le soluzioni devono essere trovate. Non si può continuamente dire “no” a tutte le proposte che vengono o da una parte o dall’altra. Una soluzione deve essere trovata. Di certo, ci sono degli incontri segreti tra le due parti, ma gli incontri segreti non hanno portato al momento ad alcun risultato. E questo, naturalmente, non fa altro che innalzare la tensione e soprattutto aumentare l’umiliazione delle persone per strada, soprattutto nella Cisgiordania.

 

 

 








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