2015-10-14 16:54:00

Card. Scola: non ci sono due partiti, guardare con fiducia al Sinodo


Il cardinale Angelo Scola, arcivescovo di Milano, è molto soddisfatto dell'andamento dei lavori del Sinodo dedicato alla vocazione e alla missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo di oggi. Ascoltiamo il porporato al microfono di Fabio Colagrande:

R. – Io devo dire che, contrariamente a certi echi della stampa, trovo il clima molto positivo e trovo che soprattutto il lavoro nei Circoli Minori – abbiamo sentito già 6-7 relazioni, ma parlo del mio, io sono al Circolo francese 2 – è una grande occasione di approfondimento reciproco delle ragioni. Per ora io direi che, sul 95 per cento di tutte le questioni emerse, siamo in profondo accordo e si fa un lavoro molto armonico di approfondimento, di creazione dei ‘modi’… E questo ci sta avvicinando molto: è la grande forza della dimensione consultiva del Sinodo, che - per raggiungere i 2/3 dei voti - deve capire bene la posizione dell’altro: quindi c’è una possibilità di evoluzione, di cambiamento delle nostre posizioni, che è molto forte ed è uno dei segni belli della potenza della struttura del Sinodo, che potrebbe anche essere un paradigma per tante istituzioni statali e internazionali. Quindi, io non vedo in alcun modo la presenza di due partiti che si stanno scontrando: certo, su talune questioni scottanti ci sono opinioni diverse, ma queste non le abbiamo ancora affrontate direttamente. Ma, io trovo – ed è il mio sesto Sinodo – che sia una grande occasione di comunione per la Chiesa.

D. – Non ci sono cospirazioni, non ci sono complotti?

R. – Io non li vedo! Non mi pare proprio… Credo che dobbiamo guardare con molta fiducia a quello che stiamo vivendo, portando a conclusione questi lavori producendo degli strumenti su cui poi il Santo Padre deciderà come intervenire.

D. – Viene ripetuta sempre questa antitesi fra dottrina e pastorale: si può trovare una sintesi, secondo lei, guardando soprattutto la situazione delle famiglie ferite?

R. – Nel mio Circolo non tanto, anche perché molti dei vescovi presenti sono giovani, hanno avuto una buona teologia, che ha trovato le sue radici negli studi di de Lubac, di Balthasar, di Rhaner. Quindi sono abituati a fare unità e capiscono anche che non si può creare dualismo tra teologia e pastorale: non esiste una dottrina astratta da applicare alla vita. La dottrina è una riflessione sistematica e critica, necessaria che deve arrivare fino alla formulazione del dogma, ma che scaturisce dall’esperienza vitale. Credo che questa unità di dottrina e di pastorale sarà anche la chiave per dare al Santo Padre suggerimenti in ordine alle problematiche scottanti, come quelle – appunto – dell’eventuale accesso o meno alla comunione sacramentale per i divorziati e i risposati.

D. – In Sala Stampa si è detto: “il Sinodo non può cambiare tutto, ma non può neanche non cambiare nulla”. Cosa pensa?

R. – Questa è una valutazione di carattere politico, che ha poco a che fare con la natura ecclesiale del Sinodo. Evidentemente Gesù è vivo, è risorto e vivo, e quindi la dottrina cristiana è una realtà vivente. Però il messaggio del Santo Evangelo dura da duemila anni e quindi il problema è essere a tal punto testimoni e discepoli della bellezza dell’incontro con Cristo, così da riuscire a comunicare l’intensità e la gioia del matrimonio e della famiglia cristiana a tutti gli uomini e le donne che s’incontrano.

D. – Qualcuno teme che la Chiesa si adegui al mondo, andando incontro a certe richieste…

R. – Io credo che il Santo Padre ha detto più volte – citando de Lubac – che la mondanizzazione della Chiesa sarebbe un gravissimo errore. Io credo che il servizio che la Chiesa possa dare al mondo è di essere se stessa: di essere cioè una luce che lascia trasparire la grande luce, la luce delle genti, che è Cristo. 

 








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