2015-10-15 13:04:00

Myanmar: cessate il fuoco tra governo e gruppi ribelli minori


Nuovo accordo per un cessate il fuoco immediato in Myanmar. A firmarlo otto gruppi ribelli minori e il governo di Naypyitaw. Dall’intesa restano però fuori le principali formazioni ribelli dell’ex Birmania, tra cui i Kachin. “Lavoreremo ancora più duramente per farlo firmare a più formazioni possibili”, ha detto il presidente Thein Sein. Il Paese asiatico vive un momento cruciale, dopo l'apertura politica ed economica del 2011. C’è attesa per le elezioni del prossimo 8 novembre per il rinnovo del Parlamento, che poi porteranno alla nomina di un nuovo capo di Stato: favorito appare il partito di opposizione di Aung San Suu Kyi, che non ha però partecipato alla cerimonia per la firma dell’accordo, nonostante l’invito delle autorità. Nei mesi scorsi, inoltre, la stampa internazionale si era occupata del dramma dei musulmani Rohingya sfollati dal Myanmar, per i quali anche Papa Francesco aveva pregato. Della tregua appena firmata, Giada Aquilino ha parlato con Romeo Orlandi, vice presidente dell’associazione Italia-Asean, il gruppo di Paesi del Sud Est asiatico, di cui il Myanmar fa parte:

R. – Sono gruppi etnici relativamente minori. Sono 8, tra i 15 armati che hanno organizzato una resistenza contro il governo centrale di Naypyitaw, la nuova capitale birmana. E’ un segnale positivo, perché ovviamente gli accordi di pace lo sono sempre, però bisogna essere prudenti nelle valutazioni. Infatti alcuni dei gruppi più importanti in termini di resistenza al governo non hanno firmato. Quello dei Kokang, al confine con la Cina, che è apparso più frequentemente nelle cronache recenti, non ha partecipato alle trattative. E comunque questi accordi devono essere ratificati dai Parlamenti dei singoli Stati che vorrebbero staccarsi o avere maggiore autonomia rispetto al governo centrale.

D. – L’intesa dunque non è stata firmata dalle principali formazioni ribelli dell’ex Birmania: tra queste anche i Kachin?

R. – Questo è un problema serio perché l’etnia Kachin è una delle più forti. In realtà tutta la Birmania è costellata da insorgenze, insurrezioni su base etnica, nazionalista e talvolta anche religiosa. Questo è un ‘difetto di origine’ della nascita del Paese, dalla sua indipendenza dalla Gran Bretagna nel 1948: una costellazione di popoli diversi tra loro sono stati messi insieme e governati con il pugno di ferro dalla maggioranza birmana, che detiene circa i due terzi della popolazione ma l’altro terzo è frastagliato e non ha trovato altra soluzione che imbracciare i fucili: perché la repressione, la durezza, soprattutto il nazionalismo del governo - che si evidenzia anche in alcune frange buddiste - è stata fortissima.

D. – Ha parlato di queste realtà molto differenti in Myanmar: nei mesi scorsi la stampa di tutto il mondo ha conosciuto meglio il dramma dei Rohingya: qual è la loro situazione?

R. – E’ una situazione disperata, perché sono la parte più povera del Paese, confinano il Bangladesh che è un Paese le cui condizioni economiche non sono floride e non è in grado di aiutare i profughi. Al contrario delle altre minoranze che sono scese in armi, i Rohingya non hanno una comune religione che possa costituire un elemento di coesione, i Rohingya sono musulmani, all’interno di uno Stato prevalentemente buddista. Per cui la situazione è di miseria, di repressione e di emigrazione verso Paesi musulmani vicini, come la Malesia e l’Indonesia, che spesso non li accolgono.

D. – Come si prepara invece il Paese al voto dell’8 novembre? Come si presentano ad esempio l’opposizione e il partito di Aung San Suu Kyi?

R. – Il partito di Aung San Suu Kyi si si presenta con i favori del pronostico. Dovrebbe ottenere una vittoria schiacciante, come quella che ha ottenuto alcuni decenni fa, prima di vederla cancellata dal colpo di Stato militare. Aung San Suu Kyi non potrà diventare presidente perché, sempre per il nazionalismo al quale facevamo cenno, chi ha sposato un cittadino straniero o ha dei figli stranieri - lei ha sposato un inglese e ha due figli inglesi - non può diventare presidente. Aung San Suu KYi ha comunque detto che è pronta a guidare il Paese, pure non da presidente. Recentemente si era diffusa la notizia che la giunta al governo - che è di derivazione militare e che comunque conserverà all’interno del prossimo Parlamento una fetta importante, garantita ai militari - avrebbe voluto rimandare le elezioni con il ‘pretesto’ delle alluvioni che ci sono state nel Paese. Poi questa decisione è rientrata. Anche per il ricordo di quello che è stato fatto precedentemente, c’è molta apprensione per queste elezioni ma c’è anche molta speranza. E’ verosimile che ci sia una vittoria larga della National League for Democracy e che Aung San Suu Kyi diventerà una figura di spicco.








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