2015-10-19 13:22:00

Nunzio in Centrafrica: grande attesa per la visita di Francesco


Grande attesa per il Papa da parte di tutta la popolazione della Repubblica del Centrafrica: nelle parole del nunzio apostolico, mons. Franco Coppola, che - alla Radio Vaticana - parla della situazione ancora tesa, dopo gli scontri drammatici iniziati nel 2012 e alcuni episodi di violenza avvenuti nelle settimane scorse, dell’impegno della Chiesa e della doverosa attenzione della comunità internazionale. Il Centrafrica, dopo l’indipendenza dalla Francia nel 1960, viene retto da governi militari fino al 1993. Poi, dieci anni di governo civile, interrotti dal colpo di Stato e dal governo di transizione del generale Bozizè, eletto presidente nelle contestate elezioni del 2005. Il Nord resta fuori del controllo e si rafforzano gruppi ribelli che portano agli scontri scoppiati nel 2012. Bozizè è messo da parte e diventa presidente di transizione Catherine Samba-Panza. L’instabilità dei Paesi confinanti, tra cui Sudan, Sud Sudan e Congo, non aiuta. La Repubblica Centrafricana, dove Papa Francesco sarà dal 29 al 30 novembre, resta uno dei Paesi più poveri della Terra. Sull'attesa del popolo centrafricano per la visita del Papa, ascoltiamo il nunzio nel Paese, mons. Franco Coppola, intervistato da Fausta Speranza:

R. – La situazione è ancora piuttosto tesa, nel senso che gli incidenti che ci sono stati alla fine di settembre e ai primi di ottobre hanno segnato profondamente il clima, soprattutto nella capitale. Certamente gli scontri armati sono cessati e la presidente sta cercando di trovare una via d’uscita, per il momento, incontrando tutte le parti e ascoltando quello che ciascuno ha da dire. Ma sarà un processo che, necessariamente, prenderà del tempo, e al momento ancora non si vede la soluzione. Però, intanto si è smesso di sparare, e questa già è una cosa molto positiva.

D. – Dunque c’è attesa per l’arrivo del Papa?

R. – Certo! C’era stato un primo momento di delusione perché alcuni media avevano interpretato il fatto che la visita della commissione vaticana incaricata della preparazione della visita fosse stata rinviata perché l’aeroporto era chiuso come una sospensione della visita, mentre era soltanto un rinvio tecnico dovuto al fatto che l’aeroporto era chiuso. Il fatto che ieri sia stato dato l’annuncio del programma, anche abbastanza dettagliato, ha ridato fiducia e speranza. Certamente tutta la popolazione – ma si può dire veramente ogni parte della popolazione –  è molto interessata. È molto interessata la popolazione in se stessa, è molto interessata la Chiesa, attendono la venuta del Papa la comunità internazionale: i tanti sforzi messi in campo non sempre hanno dato l’effetto sperato e quindi si spera che la venuta del Papa dia uno slancio ulteriore al processo di pace … Attendono questa venuta anche le altre comunità, le altre confessioni religiose: i protestanti, i musulmani … ciascuno per la sua parte sta cercando di prepararsi all’incontro con il Santo Padre.

D. – Ci dice qualcosa di più dell’impegno della Chiesa in Centrafrica?

R. – L’impegno della Chiesa in Centrafrica credo che in modo particolare sia vicino a quell’immagine che il Papa ha usato tante volte, cioè quella della Chiesa come ospedale da campo, accanto a un campo di battaglia. Purtroppo, proprio realisticamente, cioè realmente il Centrafrica è da alcuni anni a questa parte un campo di battaglia. Per cui, la Chiesa prima di tutto offre rifugio, e la cosa bella è che si rifugiano nelle mura delle chiese, delle parrocchie, dei conventi uomini di tutte le condizioni, di tutte le confessioni religiose: gli ultimi sono stati alcuni detenuti musulmani che hanno cercato rifugio nell’arcivescovado, temendo per la loro sopravvivenza. Quindi, prima di tutto accogliere le persone e offrire un minimo di rifugio. E poi, ovviamente, cercare di assisterle, perché nell’ultima crisi ben 40 mila persone hanno dovuto abbandonare le loro case e si sono trovate senza nulla di quello che è necessario per la vita di tutti i giorni. E in questo, bisogna dire che l’arcivescovo è stato esemplare nel visitare tutti questi campi di sfollati, nel portare a tutti una parola di conforto e nel distribuire, anche, l’aiuto molto concreto che il Santo Padre ha fatto pervenire alla Chiesa del Centrafrica: un aiuto molto concreto proprio per venire incontro ai primi bisogni, ai bisogni più urgenti.

D. – Credo che ci sia anche un appello della Chiesa alla comunità internazionale, a non dimenticare il Centrafrica e l’Africa in generale …

R. – Certamente! Diciamo che il Santo Padre viene qui e i centrafricani attendono la sua parola, ma sperano anche che la sua parola sia ascoltata dal resto del mondo. Il Centrafrica, in quest’ultimo anno e mezzo, grazie a Dio non è stato nelle prime pagine dei giornali a causa di stragi o di conflitti, perché il conflitto si è molto attenuato – se non altro almeno nella parte più cruenta. E questo ha fatto abbassare l’attenzione sulle necessità di questa popolazione da parte della comunità internazionale. Basti contare che per tornare alla normalità si devono tenere delle elezioni; è stato stimato, il budget necessario per la realizzazione delle elezioni, in 10 milioni di dollari. Non si è riusciti, a livello di Nazioni Unite, a trovare questi 10 milioni di dollari, per cui le cose stanno andando molto a rilento, non ci sono i mezzi, e così via. Sfortunatamente, anche mezzi molto ridotti non vengono più forniti – forse perché l’attenzione è rivolta altrove e attratta da tante altre tragedie che purtroppo ci sono, in questi mesi, un po’ ovunque nel mondo. Però, ecco, sicuramente al Centrafrica servirebbe una piccola attenzione, in questo momento, per riprendere a camminare, e a camminare con le sue gambe. Però c’è bisogno di questa piccola attenzione!








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