2015-10-24 12:38:00

Cattolici e politica, in un libro storia e personaggi


“La politica dei cattolici”, questo è il titolo del libro presentato ieri a Roma a Montecitorio, secondo l’iniziativa promossa dalla Presidenza della Camera dei deputati. Chi sono i cattolici politici, quale la loro identità, quale il loro ruolo nella storia d'Italia: a queste e altre domande risponde l’autore Paolo Pombeni, nell’intervista di Alessandro Filippelli:

R. – Il ruolo dei cattolici in politica è stato vario, a seconda dei tempi in cui questo si è verificato. In una prima fase, è stato il ruolo di chi ha voluto affermare, in uno Stato che tendeva a essere omogeneizzante dall’alto – com’era lo Stato liberale – il fatto che esistevano delle componenti di tipo culturale diverso. Poi, naturalmente – fra parentesi, il problema complicato del rapporto col Fascismo – dal secondo Dopoguerra in avanti è stato un ruolo fondamentale nella costruzione della democrazia italiana. Oggi non c’è più, secondo me, giustamente, un partito cattolico. Oggi c’è una presenza dei cattolici che, sulla base di questa tradizione, servono il Paese a seconda delle loro diverse posizioni.

D. – Lei traccia un profilo dal Risorgimento a oggi. A proposito degli uomini cattolici in politica, qual è la loro identità, la loro storia?

R. – E’ una storia molto plurale da questo punto di vista, perché c’è una componente molto forte di cattolicesimo sociale, anche qui con figure abbastanza diverse: da persone che hanno avuto posizioni un po’ più radicali, a volte anche "artistiche" – se posso esprimermi così – a persone che hanno avuto una presenza più costante. Poi, la grande stagione del cattolicesimo politico italiano è stata indubbiamente, da un lato, quella della Costituente – i Dossetti, i Moro, i De Gasperi, su un altro versante i La Pira – e quella del grande momento della modernizzazione italiana, negli anni Sessanta, quella che ha avuto il suo nucleo nel centrosinistra e nella necessità di adeguare questo Paese a una grande trasformazione sociale.

D. – E’ possibile parlare di un movimento cattolico nella politica italiana?

R. – E’ stato possibile in maniera molto forte. E’ ancora possibile oggi, se lo usiamo al plurale. Di movimenti cattolici infatti ce ne sono molti. Oggi, naturalmente, c’è un maggiore pluralismo perché, ripeto, non c’è più il problema di affermare una identità contro altre identità che vogliono schiacciarti.

D. – Tra le figure della storia politica italiana c’è Aldo Moro, con il forte vincolo di amicizia con Paolo VI. Lei nel libro sostiene che la morte di Moro segna la fine di quel cattolicesimo politico, perché?

R. – Era quell’idea che i cattolici, come struttura coagulante della nazione, potessero aiutare la nazione a superare un momento estremamente difficile, che era il momento del cambiamento generale del contesto mondiale. Moro lì dà tutto se stesso fino al punto di dare la vita. Viene ucciso per quella ragione e quel cattolicesimo politico lì finisce. Dopo non c’è più lo spazio per credere che ci possa essere un demiurgo cattolico, che possa aiutare il Paese a uscire da queste difficoltà.

D. – E anche Papa Francesco, in uno dei suoi discorsi, ha affermato: “La politica è un obbligo per un cristiano per lavorare per il bene comune”…

R. – Non c’è dubbio. Questa idea che la società si governa da sé, che non occorra che qualcuno faccia nulla, è un’utopia ed è anche un’utopia negativa. Le società per vivere hanno bisogno di politica, cioè hanno bisogno di governo, nel senso buono del termine, e questo governo ha bisogno di moralità, cioè ha bisogno di qualcuno che abbia questa capacità doppia di mettersi al servizio del bene comune, da un lato, e dall’altro di pensare che il bene comincia dai più indifesi, dai più piccoli.








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