2015-10-26 12:50:00

Palmer-Buckle: Sinodo chiede di cambiare linguaggi e atteggiamento


Il Sinodo è stato davvero un camminare insieme, un’esperienza di collegialità e fraternità: è quanto afferma l’arcivescovo ghanese di Accra, mons. Gabriel Charles Palmer-Buckle. Sergio Centofanti lo ha intervistato:

R. – E’ stata un’esperienza favolosa: devo dire la verità. Perché diciamo che siamo venuti tutti, magari con certe impressioni che i media avevano creato, un po’ in tensione. Ma confrontandomi con i vari vescovi, i diversi rappresentanti da tutti i continenti, devo dire che è stato veramente un “Sinodo”, cioè un camminare insieme, pregare insieme, ascoltarci a vicenda e anche condividere sia le nostre gioie e le nostre ansie e i nostri successi e anche i fallimenti. Lo Spirito a me ha aperto l’occhio, e anche a tutti, su che cosa vuol dire “collegialità”, che cosa vuol dire “sinodalità”, che cosa vuol dire stare insieme nella nostra diversità, ma allo stesso tempo avere – come è detto negli Atti degli Apostoli – un cuore solo e un’anima sola. E’ questo che ho veramente sperimentato.

D. – Qui in Occidente, i media hanno trattato alcuni temi. Ma che cosa ci può dire un vescovo dell’Africa?

R. – Hanno preso solo certi punti, in tutto il mosaico bello di che cosa vuol dire “famiglia”. Io sono veramente grato al Signore di avere avuto questa occasione di ascoltare che cosa voglia dire veramente “famiglia”. Non solo famiglia nucleare – papà e mamma – ma famiglia estesa, cioè i nonni, le nonne, gli zii, i cugini, i nipotini. E anche famiglie ancora più allargate, cioè: la società, la Chiesa stessa è famiglia. Nel 1994, i vescovi africani scelsero come ecclesiologia di fare tutto affinché la Chiesa in Africa diventasse “famiglia di Dio”. Allora, per noi la parola “famiglia” ha uno spessore religioso, teologico, un fondamento sociologico, antropologico e stiamo cercando quello che vuol dire “famiglia”. Certo, all’interno della famiglia ci sono le gioie, ci sono anche dei fallimenti, ci sono delle debolezze, delle difficoltà. Ma quello che è bello è che nella famiglia, là dove duole di più è lì che bisogna poi dare più amore. Certo, all’interno della Chiesa ci sono famiglie che soffrono. Per esempio, quelli che hanno alle spalle dei matrimoni falliti e si sono risposati civilmente e vogliono sentirsi parte della Chiesa. Sono parte della Chiesa: per il loro Battesimo, sono parte integrante della Chiesa. Allora, come possono partecipare alla comunione? E la comunione è più ampia che il ricevere l’Eucaristia …

D. – Benedetto XVI ha parlato di rinnovamento nella continuità. Cosa si può cambiare, restando fedeli?

R. – Per esempio, quando si parla dell’indissolubilità del matrimonio, si incomincia a puntare sulla punizione di chi è fuori da quell’ambito, a fargli percepire una certa discriminazione, una certa esclusione. Credo che la novità, ormai, sia che dobbiamo tornare al fatto che ciò che ci rende Corpo di Cristo è il Battesimo; e allora, il Battesimo è un sacramento indelebile: non si può perdere, mai!, il Battesimo, l’appartenenza alla Chiesa. Non si può perdere. E allora? Dobbiamo cambiare il nostro linguaggio. Dobbiamo cambiare il nostro atteggiamento. E Cristo dà vita anche al di fuori dei confini stretti istituzionali della Chiesa.








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